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L’imprenditore piemontese è una delle figure
chiave dell’Expo, tanto contestato, ma altrettanto
fortemente voluto alla guida di quei 16 mila mq
dentro l’Esposizione Universale. Con la sua Eataly
ha conquistato il mondo, con il suo ultimo libro
“Mangia con il pane” ha provato a fermare l’ondata
di revisionismo che metteva in ombra l’operato dei
partigiani della Seconda Guerra Mondiale. Poche
settimane fa ha dato ufficialmente le dimissioni dal
suo “impero” per concentrarsi sul futuro: Green Pea.
Le sono stati dati in affidamento diretto da Expo 16 mila mq senza gara. Perché si fidano tanto di Oscar Farinetti?
Il motivo per cui Expo ha affidato a Eataly, a Slow Food, a
Identità Golose dei pezzi importanti è perché le ha ritenute a sua volta entità
uniche. La maggior parte delle corruzioni arrivano dagli appalti e più regole
fai, più truffatori trovi. Sono importanti la scienza e la conoscenza ma
bisogna ridare spazio alla coscienza, a quella musica dell’anima che ti fa
capire la differenza tra ciò che è giusto e ciò che è ingiusto.
Cosa si aspetta da Expo?
Mi aspetto che assolva alla sua missione principale, che
provi a nutrire il Pianeta. Perché, anche se ci sono 7
miliardi di persone al mondo e produciamo cibo per oltre 12
miliardi di persone, quasi un miliardo è senza cibo? E perché quasi due sono
obese? Bisogna cercare di riequilibrare la distribuzione. Poi mi aspetto che
faccia uscire il nostro Paese dalla crisi: abbiamo il 70% del patrimonio
artistico mondiale, i più bei paesaggi, la biodiversità più bella al mondo.
Dobbiamo far venire voglia agli stranieri di tornare in Italia a fare i turisti
e dobbiamo dare orgoglio agli italiani, che dovrebbero smettere di piangersi
addosso e di narrare di un Paese, il loro, come l’ultimo della terra. La vera
eredità di questa Esposizione Universale sarà la Carta di Milano, firmata dalle
Nazioni Unite. Che impegni concreti possono essere presi considerando che il
cibo non è un diritto? La grande missione dell’Italia è quella di dimostrare
agli altri popoli, a quelli in crisi soprattutto, come investire sulla propria
biodiversità. È impossibile trasferire il cibo, ma si può dare una mano a
seminare la propria realtà. I 10 mila orti in Africa ai quali darà vita Carlin Petrini
con Slow Food sono qualcosa di magnifico e Eataly si è impegnato a produrre
mille di questi orti.
Ha deciso di parlare bene di tutti,
in un clima generale di forte livore. Perché Caprotti l’ha così duramente
attaccata?
Perché ritiene, non so se giustamente, di non essere al
centro delle attenzioni di Expo e, non sapendo chi attaccare, se la prende con
me. In Italia se fai bene il tuo lavoro, sei bersagliato: è un peso che devo
sopportare. Caprotti è stato bravissimo a creare un’azienda di distribuzionedi
retail di cibo italiano, Esselunga, ma è stato provinciale, perché non l’ha
lanciata nel mondo e l’Italia è solo una minima porzione del mondo. Guardate la
Francia con Auchan e Carrefour: in Cina hanno milioni di punti vendita e sono
nati anni dopo Esselunga. Caprotti ha il limite di non aver capito il mondo.
Con Vittorio Sgarbi seguirà il
progetto legato all’arte: Il tesoro d’Italia. Come nasce questa sinergia con un
personaggio di così difficile gestione?
Basta non gestirlo e far sì che si gestisca da solo. Daremo
spazio anche a uno studio fatto dai ragazzi di Eataly e narreremo i venti:
spiegheremo la ragione di questa biodiversità, stretta da nord a sud, in un
mare buono, sapendo di parlare di una situazione geografica unica al mondo. Non
siamo particolarmente bravi, il nostro è puro “culo”. Nessuno di noi decide
quando e dove venire al mondo: dobbiamo farci perdonare la
fortuna che abbiamo avuto a nascere in un Paese fantastico
come il nostro e l’unico modo per farlo è accogliere i popoli. Il problema
dell’Italia è la poca coscienza civica, il pressapochismo.
Si parla di nutrire il Pianeta e si
accolgono Coca-Cola e McDonald’s tra gli sponsor. Perché un posto in prima fila?
A Eataly abbiamo creato il Giotto, un panino con carne che
arriva dal nostro presidio Slow Food, all’interno del quale sono usati solo mangimi naturali. È un hamburger straordinario con il quale proviamo
a rubare clienti a McDonald’s. Abbiamo poi fatto il Chinotto Lurisia, scuro
come la Coca-Cola ma colorato con zucchero caramellato senza coloranti, per
portare via clienti al colosso americano. Eataly è uno dei pochi posti al mondo
dove non trovi la Coca-Cola. Li
rispetto, ma non fanno parte della mia idea di cibo. In Expo
non hanno un ruolo primario: McDonald’s è 1/16 di Eataly, i padiglioni
sulla sostenibilità sono dieci volte lo spazio della Coca-Cola. Trovo giusto
che Expo accetti le multinazionali e poi chi lo dice che loro due per fare un
esempio che non sia italiano siano meno sostenibili della Nestlé? Andate a
vedere a quanta gente danno da mangiare in tutti i sensi. All’interno di
Eataly, dentro Expo, c’è anche un ristorante dedicato alla Nutella. Un atto
dovuto verso una famiglia e un uomo, come Michele Ferrero, che tanto hanno dato
all’Italia? Ricordiamoci che il 90% dello spazio è andato ai piccoli, sono 84
osterie che porteranno 900 piccoli produttori italiani, il restante 10% è
andato alle grandi aziende che mi piacciono. Sì, era un atto dovuto a un uomo
che ha dato tanto all’Italia e ad Alba, che è anche la mia città. La Nutella è
un prodotto italiano che ci rappresenta nel mondo. All’interno troverete anche
uno spazio dedicato a “Italia del Gusto” che mette insieme i più bei brand
delle grandi aziende italiane: Barilla, Auricchio, Parmareggio. Sono un
moderato, non un fondamentalista e mi piace guardare al meglio del mondo.
Siamo la nazione del “grande
potenziale inespresso”. Cosa resterà di questa edizione dell’Expo?
Spero che tutti abbiano fatto dei padiglioni a impatto zero
e che sappiano, una volta finito Expo, come togliere e trasferire ogni singola
vite. Noi sappiamo dove andrà a finire, a Bologna alla F.I.CO. (Fabbrica
Italiana Contadina).
Due luoghi le sono molto cari:
Torino, sede del primo negozio Eataly e Serralunga d’Alba, sede di
Fontanafredda e della sua Fondazione. Cosa lega due posti così metafisicamente
lontani?
Sono luoghi piemontesi e figli di un carattere che si può
classificare con la teoria dei contrasti apparenti, parliamo di una timidezza
sfrontata, di una innovazione rivolta alla tradizione, di un coraggio corsaro,
di valori positivi che i più considerano contrastanti e invece possono
coesistere benissimo in un carattere di atavica timidezza. Poi c’è Milano che
mi ha accolto benissimo, i suoi cittadini sono il popolo più bello d’Italia e
non è un caso che il loro PIL sia il più alto d’Europa. Parliamo di una città
fatta di persone straordinarie, tolleranti, reattive.
«Ricordati, ragazzo, che le persone sono
più importanti delle cose»: lo diceva suo padre e lo ritroviamo nel suo ultimo
libro. “Mangia con il pane” è la storia di una famiglia italiana. Come nasce
questo libro che pare un diario?
Nasce per far sì che non si perda la memoria di questa
resistenza, della nuova primavera, perché se non ci fossero stati i partigiani
non avremmo avuto lo stato libero, non avremmo fatto la Costituzione e saremmo
stati terra di conquista come Berlino Est. E poi volevo abbattere l’ondata di
revisionismo per cui molti si permettono di dire che i partigiani si sono
comportati male.
C’è qualche imprenditore che
rispetta, al di là dei suoi figli?
Ti potrei dire tanti nomi, se pensi all’Italian pensi alle
3F: forniture, fashion, food. Direi Guzzini, Valcucine, Flu, Artemide, tutte
aziende di famiglie straordinarie. Nel fashion come non citare Armani, Diesel,
Cruciani, Cucinelli, Loro Piana, Della Valle, Geox. Nel food non cito nessuno
per rispetto, ma tirerei in ballo anche i cuochi, sempre più imprenditori del
nostro Paese. Gaia e Ceretto sono da nominare, come Rivetti e Allegrini:
l’Italia è un tessuto di gente bravissima, più brava di me e io ogni giorno
imparo qualcosa da tutti
loro. Cambia mestiere ogni dieci anni. Il primo Eataly fu
aperto nel 2007. Cosa ha in mente ora? Ho un limite: non esprimo più creatività
nello stesso mestiere dopo dieci anni. Come fanno a fare politica per
25 anni? Come posso pensare bene di loro? Non possiedo più
neppure una quota di Eataly, non sono più amministratore delegato da quattro
anni e da qualche settimana ho dato le dimissioni da presidente. È giusto che
faccia un passo indietro e che lasci, ai miei figli, il campo libero. Sto per
iniziare una nuova
avventura che mi occuperà la vita, tra i 60 e i 70 anni.
Partirà dall’Italia e andrà nel mondo perché non concepisco nulla che non abbia
una portata globale. Merito di mia madre che mi diceva sempre: “Se non sai
vendere a casa tua non lo farai certo fuori”. Il progetto si chiama Green Pea,
“pisello verde” e si occuperà di sostenibilità. I prossimi 20 anni saranno
contrassegnati da questo: creare business sostenibile nel Pianeta,spostando il valore del rispetto dal senso del dovere al
senso del piacere.
Si ringrazia per la pubblicazione Club Milano
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