lunedì 6 aprile 2015

"Signore e Signori d'Italia".... di Marco Capriotti

... Ovvero fenomenologia (e morte) di un galateo.

I galatei come specchio della società. Le loro evoluzioni, le loro innovazioni, le loro aspirazioni. Le utopie. I loro riferimenti simbolici, i sistemi ideologici, le paure, le censure come chiavi di lettura dei paradigmi culturali che, dall’Unità a oggi, si sono andati avvicendando e modificando nel nostro Paese. Questi gl’intenti di base da cui Gabriella Turnaturi prende le mosse in “Signore e signori d’Italia – Una storia delle buone maniere” (Feltrinelli, Milano 2011). Un saggio in quattro parti, divise a loro volta in sezioni tematiche, ognuna delle quali si concentra su un periodo della storia d’Italia: una struttura che rende giustizia, nello stesso tempo, alla sincronia e alla diacronia, nel caso dei galatei interconnesse da un rapporto indissolubile. Come avverte l’autrice, i trattati di buone maniere ”possono essere letti come testi agiografici, autocelebrativi, espurgati da tutto ciò che si sente minaccioso, sgradito, da una realtà che si preferisce ignorare”; ma “raccontano inoltre la loro stessa storia, il prodursi e riprodursi di alcune norme all’interno di un proprio sistema autoreferente”. Una certa abitudine è citata per tracciare una regola, un’altra per bandire un comportamento errato: i galatei, secondo la Turnaturi (non a caso, docente di Sociologia presso l’Università di Bologna), sono terreno fertile non soltanto per comprendere usi e costumi della classe dominante di un’epoca (nonché i suoi gusti, i suoi tabù), ma anche per conoscerne le aspirazioni, i modelli e le angosce latenti. Insomma, la sua rappresentazione nello spazio sociale e la sua visione di quello spazio stesso, e la qualità e le manifestazioni della dialettica con gli altri componenti che lo abitano. Dal pranzo dell’Ottocento allo spontaneismo del “Controgalateo” di marca anni ’70, dalla disgraziata “zitellona” a un alquanto inelegante galateo razzista, l’occhio acuto dell’autrice rileva e problematizza, senza sbilanciarsi troppo in considerazioni di matrice personale, da buona accademica, fino a tutto il terzo capitolo; ciò che stupisce favorevolmente è, invece, la presa di posizione marcatamente polemica nell’ultima parte, quella relativa alla contemporaneità.




L’incipit: “Per addentrarci fra i galatei del terzo millennio bisogna […] fare un passo indietro e cercare di capire dove inizia lo smottamento culturale e morale di un paese che sembra aver salutato, per sempre e, ahimè, con il dito medio alzato, le buone maniere”. La società attuale, sempre più impoverita culturalmente e moralmente, è analizzata ad ampio raggio e non riceve sconti: tra i cafoni di oggi la Turnaturi annovera non soltanto starlette e personaggi da rotocalco, ma anche evasori fiscali, politici, e in generale chiunque dimostri di non avere una coscienza civica né un’etica della convivenza. Le priorità che emergono dai galatei attuali sono priorità di Io ingigantiti, tanto da essere ormai esondati e aver ricolmato di sé gli stessi rapporti sociali: farsi notare a tutti i costi, disinteressarsi agli altri, a ciò che pensano e dicono, vedere soltanto il proprio vantaggio, o preoccuparsi soltanto dei propri problemi. Parallelamente, dilagano manuali di pronto utilizzo, decaloghi per raggiungere i propri scopi in poche e semplici mosse senza che si operi un lavoro duraturo nell’intimo della consapevolezza del sé. E’ confermato il giudizio di fondo: “appare un paesaggio umano inquietante che ci fa chiedere non solo dove siano finite le buone maniere e la buona educazione, ma dove sia finita la socievolezza, quello stare insieme fine a se stesso”. Nulla di più vero; e nulla di più positivo di uno studioso che, alla luce delle sue ricerche, dice la sua. In un mondo in cui chiunque dà fiato alla propria bocca, il bisogno di opinioni competenti e ponderate si fa sempre più impellente. Tanto più se si riesce a coniugare, come in “Signore e signori d’Italia”, un lavoro originale, una completezza ammirevole e un linguaggio sostenuto e accessibile: non soltanto, quindi, uno studio storico e distaccato, ma un bel macigno con cui fare i conti nel presente. E purtroppo, senza motivi consolatori per il futuro.

Si ringrazia Stilemaschile per la concessione di pubblicare integralmente l'articolo.



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