I nativi ne assaporavano il delizioso aroma già da molti anni.
Il fumo era un piacere ma anche elemento unificante nei riti sacri e sociali.
Narra la storia, e non certo la leggenda, che un giorno del
1881 a Malaga i genitori di un neonato erano disperati poiché, subito dopo il
parto, non dava nessun segno di vita. Il medico, però, senza perdere la calma,
inspirò una profonda boccata del sigaro che stava fumando e gli soffiò il fumo
sul faccino.
Subito il nascituro prese a strillare e i suoi vagiti
riempirono la stanza, con gioia e sorpresa del padre e della madre. Oltre ad
avere salvato una vita, quel medico permise soprattutto all'arte contemporanea
di non perdere uno dei suoi rappresentanti più famosi e geniali. Sì, perché
quel neonato si chiamava Pablo Picasso. L'aneddoto in questione non vuole
ovviamente dimostrare che il fumo faccia bene, sebbene in quel caso avesse
evitato la morte sicura del piccolo Pablo, ma sicuramente può simboleggiare uno
stile di vita e soprattutto un piacere sopraffino il quale, talvolta, può
compiere addirittura un miracolo.
Chi non ha mai assaporato l'aroma di un sigaro non può
capire la filosofia che si cela
dietro questo rotolo di foglie essiccate e chi non ha mai
gustato un sigaro cubano non può minimamente immaginare cosa rappresenti questo
modo impareggiabile di fumare. Coloro che sono seguaci dei puros, così vengono
chiamati i sigari dell'isola caraibica rigorosamente fatti a mano, storcono il
naso quando i loro prediletti oggetti del desiderio vengono equiparati a un
normalissimo vizio. E hanno perfettamente ragione. Fumare un puro, infatti, è
un'arte raffinatissima, ultimo anello di una catena che inizia con la scelta
del sigaro, con la perfetta conservazione e umidificazione, per passare al rito
del taglio e dell'accensione e all'accostamento con un ottimo liquore, suo
compagno di viaggio preferito che si abbina all'armonia del palato.
Altro che vizio. E poi, al di là del gusto, tanta "sacralità" ha addirittura origini storiche e religiose. Già, perché quando Cristoforo Colombo nel 1492 mise piede sulla terra di Cuba, credendo invece di essere giunto nelle Indie, entrò in contatto con gli indigeni del luogo che erano soliti arrotolare cilindri di foglie secche che accendevano da una parte e ne aspiravano il fumo dall'altra. Questo perché, fin dalla notte dei tempi, per quelle popolazioni il tabacco era un elemento unificante nella vita sociale e religiosa, visto che era impiegato in molti riti sacri.
A farlo era soprattutto lo stregone, il behique, che
comunicava con gli dei durante la cerimonia del cohoba.
La visione sacrale,
anche se in modo negativo, venne ripresa anche dalla Chiesa cattolica che,
appena il tabacco venne portato in Europa dagli uomini di Colombo, cercò di
dimostrare che le foglie essiccate caraibiche erano di chiara matrice
demoniaca. Rodrigo de Jerez, uno dei marinai del navigatore genovese che
avevano imparato ad aspirare il cohoba, pagò a caro prezzo la voglia di fumare
a casa uno di questi rotoli vegetali. La moglie lo denunciò all'Inquisizione e
lo fece imprigionare con l'accusa di essere posseduto da satana. Ma i difensori
della fede nulla poterono, nel giro di pochi anni, per contrastare l'invasione
del sigaro che venne assimilato soprattutto dalle classi più agiate. Jean
Nicot, ambasciatore francese presso la corte del Portogallo, fu uno dei primi a
introdurre la moda del sigaro nell'aristocrazia e, per l'epoca, anche ad
esaltarne le presunte qualità terapeutiche. Peccato per lui che oggi venga
ancora ricordato solo per il fatto che una delle sostanze più nocive del
tabacco, la nicotina appunto, abbia preso spunto proprio dal suo nome.
Ed è vero, visto che si calcola in trecentomila (avete letto bene) i sigari che l'uomo politico britannico riuscì a fumare durante la sua vita. Al punto che una vitola, cioè un determinato tipo di sigaro cubano, riconoscibile dalla lunghezza e dalla circonferenza, viene oggigiorno chiamata con il nome del grande statista. Gli aneddoti su Churchill e i suoi amati sigari si sprecano. A cominciare da quello che lo vide protagonista con il maresciallo Montgomery, il quale un giorno gli disse: "Io non bevo, non fumo, dormo molto, ecco perché sono in forma al cento per cento". Al che il premier gli rispose: "Io bevo molto, dormo poco e fumo un sigaro dopo l'altro! Ecco perché sono in forma al duecento per cento". Quando Londra, durante la battaglia d'Inghilterra, fu sottoposta ai violenti bombardamenti da parte della Luftwaffe, Churchill non temette per la propria vita, ma per i suoi sigari che erano custoditi presso il negozio Dunhill.
Proprio durante un raid aereo, una bomba centrò in pieno il
negozio. Alle due di notte, dopo aver constatato i danni, il direttore telefonò
immediatamente a Churchill e gli disse le testuali parole: "I vostri
sigari sono in salvo, Sir". Anche il presidente americano John Fitzgerald
Kennedy fu un accanito fumatore di sigari cubani. I suoi preferiti furono i
Petit Upmann di H. Upmann. Li privilegiava a tal punto che, nel 1961, qualche
giorno prima di firmare il documento che avrebbe fatto scattare l'embargo
contro Cuba e Fidel Castro, inviò alcuni suoi collaboratori all'Avana per fare
incetta dei suoi puros preferiti. Gliene portarono ben 11.500. A proposito di
Fidel Castro. Quando salì al potere nel 1959, una delle prime decisioni che
prese fu quella di nazionalizzare tutte le manifatture di sigari. Una scelta
dolorosa che portò alla scomparsa di leggendari puros come Murias, Henry Clay,
Farach, Villar y Villar. Ma il lider maximo dovette tornare ben presto sui
propri passi, convinto anche da "Che" Guevara, perché l'alta qualità
che contraddistingueva i sigari cubani era quasi del tutto scomparsa. Così
diede vita ad un organismo preposto, la Habanos S.A., con il compito di
coordinare le varie manifatture per la produzione annuale dei sigari. Sempre
Castro fu protagonista della nascita di quello che viene attualmente definito
il miglior sigaro del mondo, il cohiba. All'inizio degli anni Sessanta, ancora
in pieno fermento rivoluzionario,
Fidel Castro s'incontrò una mattina con i
suoi collaboratori più stretti. Tutti si accesero il loro sigaro e il lider
maximo restò colpito dal profondo aroma di un puro fumato da un suo vicino.
Subito volle sapere chi fosse il campesino capace di creare un sigaro
artigianale così buono. Quel contadino, destinato a diventare uno degli
uomini-simbolo di tutta la storia dei sigari, era Eduardo Ribera che aveva
individuato nel cuore della regione Vuelta Abajo, la migliore di tutta Cuba per
la pianta del tabacco, un appezzamento favoloso, capace di trasmettere alle
foglie un sapore unico, incredibile.

Il lider maximo, dopo aver fumato i suoi sigari, nominò
Ribera responsabile di una nuova manifattura, chiamata appunto cohiba, dal nome
della cerimonia del fumo degli antichi indios, che mise in vendita i suoi puros
a partire dal 1968. Da quell'anno, i "seguaci" dei sigari cubani
hanno un preciso punto di riferimento, quando vogliono fumare qualcosa di
assolutamente straordinario. Ma in Italia esiste una "cultura" del
sigaro cubano e, più in generale, di quello caraibico? "Il fatto è che nel
nostro Paese si è sempre preferito puntare su un prodotto locale: il sigaro
toscano", risponde Antonio Senucci, proprietario di una elegante
tabaccheria di Milano, uno dei maggiori specialisti italiani di sigari cubani.
"Solo negli ultimi tempi, gli italiani stanno finalmente scoprendo la
qualità e la bontà dei puros. Rispetto ad altri Paesi europei, come la Spagna,
la Francia e l'Inghilterra, siamo molto indietro, ma qualcosa si sta muovendo.
Perché chi decide di passare a questo tipo di sigari, deve capire che la
"filosofia" che c'è alle spalle è completamente diversa rispetto agli
altri modi di fumare. Chi accetta questa differenza, entra in un mondo meraviglioso".
Già, perché consacrarsi ai puros, come si è detto all'inizio, cambia
radicalmente il concetto e il rapporto stesso con il fumo. I sigari caraibici,
infatti, sono estremamente delicati e per fumarli al meglio bisogna custodirli
in particolari scatole di legno (costruite in cedro ispanico), chiamate
humidors, al cui interno l'umidità si mantiene tra i 70 e i 75 gradi, come
quella che si riscontra nel clima dei Caraibi. Ma questo è solo l'inizio.
"Il rito del fumatore di sigaro è alquanto variegato", spiega
Maurizio Dalla Valle, presidente della "Aldano", una famosa fabbrica
italiana di humidors.

la storia del Sigaro Cubano tratto da win storia punto.net
Nessun commento:
Posta un commento