giovedì 17 dicembre 2015

NEL 1492 COLOMBO SCOPRI' IL SIGARO CUBANO. E POI L'AMERICA di Sergio Chiti

I nativi ne assaporavano il delizioso aroma già da molti anni. Il fumo era un piacere ma anche elemento unificante nei riti sacri e sociali.



Narra la storia, e non certo la leggenda, che un giorno del 1881 a Malaga i genitori di un neonato erano disperati poiché, subito dopo il parto, non dava nessun segno di vita. Il medico, però, senza perdere la calma, inspirò una profonda boccata del sigaro che stava fumando e gli soffiò il fumo sul faccino.
Subito il nascituro prese a strillare e i suoi vagiti riempirono la stanza, con gioia e sorpresa del padre e della madre. Oltre ad avere salvato una vita, quel medico permise soprattutto all'arte contemporanea di non perdere uno dei suoi rappresentanti più famosi e geniali. Sì, perché quel neonato si chiamava Pablo Picasso. L'aneddoto in questione non vuole ovviamente dimostrare che il fumo faccia bene, sebbene in quel caso avesse evitato la morte sicura del piccolo Pablo, ma sicuramente può simboleggiare uno stile di vita e soprattutto un piacere sopraffino il quale, talvolta, può compiere addirittura un miracolo.

Chi non ha mai assaporato l'aroma di un sigaro non può capire la filosofia che si cela

dietro questo rotolo di foglie essiccate e chi non ha mai gustato un sigaro cubano non può minimamente immaginare cosa rappresenti questo modo impareggiabile di fumare. Coloro che sono seguaci dei puros, così vengono chiamati i sigari dell'isola caraibica rigorosamente fatti a mano, storcono il naso quando i loro prediletti oggetti del desiderio vengono equiparati a un normalissimo vizio. E hanno perfettamente ragione. Fumare un puro, infatti, è un'arte raffinatissima, ultimo anello di una catena che inizia con la scelta del sigaro, con la perfetta conservazione e umidificazione, per passare al rito del taglio e dell'accensione e all'accostamento con un ottimo liquore, suo compagno di viaggio preferito che si abbina all'armonia del palato.


 Altro che vizio. E poi, al di là del gusto, tanta "sacralità" ha addirittura origini storiche e religiose. Già, perché quando Cristoforo Colombo nel 1492 mise piede sulla terra di Cuba, credendo invece di essere giunto nelle Indie, entrò in contatto con gli indigeni del luogo che erano soliti arrotolare cilindri di foglie secche che accendevano da una parte e ne aspiravano il fumo dall'altra. Questo perché, fin dalla notte dei tempi, per quelle popolazioni il tabacco era un elemento unificante nella vita sociale e religiosa, visto che era impiegato in molti riti sacri.
A farlo era soprattutto lo stregone, il behique, che comunicava con gli dei durante la cerimonia del cohoba.

 La visione sacrale, anche se in modo negativo, venne ripresa anche dalla Chiesa cattolica che, appena il tabacco venne portato in Europa dagli uomini di Colombo, cercò di dimostrare che le foglie essiccate caraibiche erano di chiara matrice demoniaca. Rodrigo de Jerez, uno dei marinai del navigatore genovese che avevano imparato ad aspirare il cohoba, pagò a caro prezzo la voglia di fumare a casa uno di questi rotoli vegetali. La moglie lo denunciò all'Inquisizione e lo fece imprigionare con l'accusa di essere posseduto da satana. Ma i difensori della fede nulla poterono, nel giro di pochi anni, per contrastare l'invasione del sigaro che venne assimilato soprattutto dalle classi più agiate. Jean Nicot, ambasciatore francese presso la corte del Portogallo, fu uno dei primi a introdurre la moda del sigaro nell'aristocrazia e, per l'epoca, anche ad esaltarne le presunte qualità terapeutiche. Peccato per lui che oggi venga ancora ricordato solo per il fatto che una delle sostanze più nocive del tabacco, la nicotina appunto, abbia preso spunto proprio dal suo nome.

 L'irruzione del tabacco nel vecchio continente provocò, ovviamente, l'inizio della coltivazione sistematica e della manifattura di questo vegetale nei Caraibi, più esattamente a Cuba. Ciò fece piovere soldi nelle casse della Spagna, visto che l'isola le apparteneva e per il fatto che, a partire dal 1614, tutto il tabacco destinato ai mercati europei doveva passare attraverso il monopolio della città di Siviglia, dove veniva trasformato in migliaia di sigari da esportare in Francia, Inghilterra e Olanda. Ma il corso della storia, nel giro di poco più di un secolo, cambiò le carte in tavola. La Spagna perse progressivamente potere e prestigio, mentre a Cuba, le continue insurrezioni dei vegueros, i coltivatori di tabacco, spinsero le autorità ispaniche a concedere benefici economici e a varare una politica doganale meno soffocante.

Il monopolio di Siviglia scomparve e la liberalizzazione del commercio dei puros ebbe un'incredibile impennata. A l'Avana, in pochissimo tempo, vennero aperte fabbriche di sigari leggendari: nel 1827 Partagas, nel 1834 Por Larranaga, nel 1840 Punch, nel 1844 H. Upmann, nel 1848 El Rey del Mundo e nel 1850 Romeo y Julieta. Si arrivò al punto che, nel 1861, a Cuba operavano 1217 manifatture, 516 delle quali, producevano puros destinati all'esportazione. In Europa, il sigaro continuò ad essere di moda nelle classi sociali più abbienti. Nei club più esclusivi di Londra e Parigi vennero aperte apposite sale per i fumatori, i quali per evitare che i loro abiti venissero impregnati dall'odore penetrante del fumo, cominciarono ad indossare di sera vestiti neri in seta chiamati smoking. Con l'evoluzione dei costumi, cambiò anche il modo di presentare gli stessi sigari. Dapprima, nel 1845, un famoso produttore, Ramon Allones, inaugurò l'epoca delle scatole in legno per mettere in vendita i suoi puros, e qualche anno più tardi le medesime cominciarono ad essere riccamente illustrate e rivestite da etichette e simboli. Subito dopo, vennero create le fascette. A dire il vero, già un secolo prima gli aristocratici avvolgevano intorno alla testa del sigaro un anello di carta per evitare che i loro guanti di seta bianca si sporcassero al contatto del tabacco troppo umido, ma solo tra il 1830 e il 1835, un olandese, Gustave Anton Block, sistematizzò l'uso della fascetta per i suoi sigari Aguila de Oro, per differenziarli dagli altri puros in circolazione.
L'idea venne ripresa immediatamente dagli altri produttori che, in alcuni casi, fecero dei loro anelli dei veri e propri capolavori: vennero così creati anillos, come si chiamano in spagnolo, in seta e abbelliti da piccole perle. Ma dato il costo proibitivo, vennero ben presto sostituiti da quelli fatti in carta. Nel frattempo, anche le condizioni sociali ed economiche di chi lavorava nelle manifatture a Cuba migliorarono notevolmente. Nelle fabbriche, dove i torcedores arrotolavano i sigari, venne perfino istituita la figura del "lettore", un operaio in grado di leggere durante l'orario di lavoro giornali e libri. Autori come Balzac, Zola, Verne e H.G. Wells divennero popolarissimi tra i lavoratori di sigari, che ben presto vennero soprannominati gli "intellettuali del proletariato". La fama dei sigari cubani aumentava a dismisura. Negli Stati Uniti i presidenti Ulysses Grant e Abraham Lincoln, dopo aver assaggiato un puro, non abbandonarono mai più il suo aroma. Il primo arrivò al punto di fumarne venticinque al giorno. Anche musicisti come Wagner e Sibelius non poterono più fare a meno di questo tipo di fumo. Ma è con l'irruzione del ventesimo secolo che i sigari cubani ebbero la loro definitiva consacrazione. A ciò contribuì anche la leggenda di una terra che, dopo aver cacciato gli spagnoli grazie all'insurrezione avvenuta nel 1895 per merito di José Marti, si trasformò, anche a causa della situazione politica altamente instabile, in una zona franca dove tutto era permesso: Avana divenne in breve tempo la capitale del lusso sfrenato, del piacere e del gioco d'azzardo, ancora prima di Las Vegas. Negli Anni Trenta e Quaranta, celebrità come Marlene Dietrich, Nat King Cole, Errol Flynn, Gary Cooper, Ginger Rogers, Frank Sinatra e il gangster Lucky Luciano presero a frequentare gli hotel Deauville, Capri e Riviera e i night Tropicana, Floridita e Bodeguita del Medio. Tutti avevano in bocca un costoso puro, simbolo di potere e dominio. Anche Ernest Hemingway non seppe resistere al fascino del mare di Cuba, del cocktail "Daiquiri" e del sapore dei sigari cubani. Ma i puros, ormai, si fumavano dappertutto, persino al numero 10 di Downing Street, quando Winston Churchill divenne premier inglese nel 1940. E' stato detto che nessuno come lui incarnò l'idea stessa del sigaro.
Ed è vero, visto che si calcola in trecentomila (avete letto bene) i sigari che l'uomo politico britannico riuscì a fumare durante la sua vita. Al punto che una vitola, cioè un determinato tipo di sigaro cubano, riconoscibile dalla lunghezza e dalla circonferenza, viene oggigiorno chiamata con il nome del grande statista. Gli aneddoti su Churchill e i suoi amati sigari si sprecano. A cominciare da quello che lo vide protagonista con il maresciallo Montgomery, il quale un giorno gli disse: "Io non bevo, non fumo, dormo molto, ecco perché sono in forma al cento per cento". Al che il premier gli rispose: "Io bevo molto, dormo poco e fumo un sigaro dopo l'altro! Ecco perché sono in forma al duecento per cento". Quando Londra, durante la battaglia d'Inghilterra, fu sottoposta ai violenti bombardamenti da parte della Luftwaffe, Churchill non temette per la propria vita, ma per i suoi sigari che erano custoditi presso il negozio Dunhill.
Proprio durante un raid aereo, una bomba centrò in pieno il negozio. Alle due di notte, dopo aver constatato i danni, il direttore telefonò immediatamente a Churchill e gli disse le testuali parole: "I vostri sigari sono in salvo, Sir". Anche il presidente americano John Fitzgerald Kennedy fu un accanito fumatore di sigari cubani. I suoi preferiti furono i Petit Upmann di H. Upmann. Li privilegiava a tal punto che, nel 1961, qualche giorno prima di firmare il documento che avrebbe fatto scattare l'embargo contro Cuba e Fidel Castro, inviò alcuni suoi collaboratori all'Avana per fare incetta dei suoi puros preferiti. Gliene portarono ben 11.500. A proposito di Fidel Castro. Quando salì al potere nel 1959, una delle prime decisioni che prese fu quella di nazionalizzare tutte le manifatture di sigari. Una scelta dolorosa che portò alla scomparsa di leggendari puros come Murias, Henry Clay, Farach, Villar y Villar. Ma il lider maximo dovette tornare ben presto sui propri passi, convinto anche da "Che" Guevara, perché l'alta qualità che contraddistingueva i sigari cubani era quasi del tutto scomparsa. Così diede vita ad un organismo preposto, la Habanos S.A., con il compito di coordinare le varie manifatture per la produzione annuale dei sigari. Sempre Castro fu protagonista della nascita di quello che viene attualmente definito il miglior sigaro del mondo, il cohiba. All'inizio degli anni Sessanta, ancora in pieno fermento rivoluzionario,
Fidel Castro s'incontrò una mattina con i suoi collaboratori più stretti. Tutti si accesero il loro sigaro e il lider maximo restò colpito dal profondo aroma di un puro fumato da un suo vicino. Subito volle sapere chi fosse il campesino capace di creare un sigaro artigianale così buono. Quel contadino, destinato a diventare uno degli uomini-simbolo di tutta la storia dei sigari, era Eduardo Ribera che aveva individuato nel cuore della regione Vuelta Abajo, la migliore di tutta Cuba per la pianta del tabacco, un appezzamento favoloso, capace di trasmettere alle foglie un sapore unico, incredibile.
Il lider maximo, dopo aver fumato i suoi sigari, nominò Ribera responsabile di una nuova manifattura, chiamata appunto cohiba, dal nome della cerimonia del fumo degli antichi indios, che mise in vendita i suoi puros a partire dal 1968. Da quell'anno, i "seguaci" dei sigari cubani hanno un preciso punto di riferimento, quando vogliono fumare qualcosa di assolutamente straordinario. Ma in Italia esiste una "cultura" del sigaro cubano e, più in generale, di quello caraibico? "Il fatto è che nel nostro Paese si è sempre preferito puntare su un prodotto locale: il sigaro toscano", risponde Antonio Senucci, proprietario di una elegante tabaccheria di Milano, uno dei maggiori specialisti italiani di sigari cubani. "Solo negli ultimi tempi, gli italiani stanno finalmente scoprendo la qualità e la bontà dei puros. Rispetto ad altri Paesi europei, come la Spagna, la Francia e l'Inghilterra, siamo molto indietro, ma qualcosa si sta muovendo. Perché chi decide di passare a questo tipo di sigari, deve capire che la "filosofia" che c'è alle spalle è completamente diversa rispetto agli altri modi di fumare. Chi accetta questa differenza, entra in un mondo meraviglioso". Già, perché consacrarsi ai puros, come si è detto all'inizio, cambia radicalmente il concetto e il rapporto stesso con il fumo. I sigari caraibici, infatti, sono estremamente delicati e per fumarli al meglio bisogna custodirli in particolari scatole di legno (costruite in cedro ispanico), chiamate humidors, al cui interno l'umidità si mantiene tra i 70 e i 75 gradi, come quella che si riscontra nel clima dei Caraibi. Ma questo è solo l'inizio. "Il rito del fumatore di sigaro è alquanto variegato", spiega Maurizio Dalla Valle, presidente della "Aldano", una famosa fabbrica italiana di humidors.
"Oltre al giusto humidor, scelto sulla base delle proprie esigenze, colui che inizia, deve capire che il sigaro va tagliato e fumato in un certo modo, non come si fa con una normale sigaretta". Che qualcosa stia effettivamente cambiando in Italia, comunque, si vede anche dalle associazioni di appassionati che aumentano considerevolmente e dall'attenzione che i mass media rivolgono a questo fenomeno. Anche il nostro Paese ha adesso un mensile dedicato esclusivamente ai sigari, si chiama "Stil" ed è diretto da una donna, Marzia Bertocca, una delle diverse rappresentanti del "gentil sesso" che hanno deciso di ignorare le sigarette per passare a sua maestà il sigaro. "Non solo non ci vedo nulla di strano, come già fece notare lo scorso secolo la scrittrice George Sand, accanita fumatrice di sigari, quando disse: "Il sigaro è l'ideale complemento di un elegante stile di vita"", spiega Marzia Bertocca. "Ma ritengo addirittura che le donne, con la loro sensibilità ed estetica, possano cogliere meglio degli uomini il fascino sprigionato da un buon sigaro". Forse, sulla base di quello che è stato detto finora, non risulterà poi così eccessivo quanto proclamò una volta una voce anonima. Cioè che se fumare è umano, fumare sigari è divino.

la storia del Sigaro Cubano tratto da win storia punto.net 

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