martedì 6 dicembre 2016

Orologeria Monti Nel Cuore della Brianza

Walter Monti, classe 1971, lavora e vive da sempre nel mondo dell’orologeria.

Nato da una famiglia di orologiai e commercianti del settore, specializzati nell’orologeria da salone, ha cominciato  la sua carriera, dopo gli studi, nel 1988, presso una piccola bottega di orologiai nell’interland milanese.

 Dopo 2 anni di lavoro artigianale , viene scelto per entrare a far parte dello staff tecnico della grande realtà orologiera di Ebel,  si specializza come tecnico orologiaio e consolida le sue conoscenze e capacità, il che gli permette , 3 anni dopo, di passare da Ebel alla più grande famiglia dell’orologeria in Italia, Pisa. 

Entra nell’orologeria Pisa nel 1993 come tecnico orologiaio e, durante i 21 anni passati a lavorare per le signore Pisa, studia, cresce  e approfondisce le tecniche di lavoro, specializzandosi presso i più grandi laboratori delle case orologiere di tutto il mondo e sperimentando tecniche, anche innovative, per riparare e riportare in gloria tutti gli orologi che passano dal suo laboratorio , da quelli appartenenti alla storia prestigiosa dell’orologeria a quelli il cui valore è solo determinato dalla vita e dall’affetto che rappresentano per il loro proprietario.

Grazie alla famiglia Pisa, che nel 2000 lo nomina responsabile di tutta l’area tecnica, Walter Monti ha potuto lavorare su tutti i più famosi modelli di orologi della storia, orologi da polso, da parete, tasca, da yacht, pendole e non solo, e ha potuto , lavorando a stretto contatto con il pubblico, dare spesso anche soddisfazione alla sua vena commerciale e consolidare rapporti di stima e amicizia con i colleghi del settore e i tanti clienti passati dal suo laboratorio.

Il 2014 è l’anno di svolta, per lasciare il lavoro presso la ditta Pisa e aprire finalmente un’attività in proprio , negli spazi che furono il negozio di famiglia a Bovisio Masciago, nella prospera Brianza.

Riapre quindi l’Orologeria Monti dove, da 2 anni, Walter Monti lavora con passione e dedizione sia nella vendita che, soprattutto, nell’assistenza tecnica, mettendo a disposizione degli appassionati di alta orologeria, nel moderno laboratorio creato all’interno del negozio , la sua esperienza , il suo amore e la sua infinita conoscenza del mondo e della storia degli orologi, declinati in tutte le loro sfaccettature. Nel nuovo negozio si perpetra, ovviamente, anche  la tradizione di famiglia , vendendo e riparando grandi pendole e orologi da tavolo.
Oggi presso l’Orologeria Monti si gestisce l’assistenza tecnica e la riparazione di tutti i marchi , la vendita di una selezionata gamma di orologi vintage , tra i modelli e i marchi più ricercati al mondo, e la distribuzione autorizzata di marchi in espansione e crescita .

Al momento l’orologeria Monti è distributore ufficiale , come orologi, dei seguenti marchi: Gagà Milano, Cuervo Y Sobrinos, Vulcain, Fortis, Erwin Sattler.
Per  febbraio 2017 è prevista l’apertura di un secondo punto vendita e assistenza tecnica in centro a Seregno.



sabato 17 settembre 2016

STRADE D'ACQUA di Marilena Roncarà

Dopo aver ospitato la mostra fotografica “Milano città d’acqua” a Palazzo Morando, oggi il capoluogo lombardo torna a parlare del progetto di riaprire i navigli: ormai qualcosa in più di un semplice sogno a occhi aperti.

Laghetto, Pontaccio, Pantano, Bagnera, Fontana e Molino delle Armi: sono sufficienti i nomi di queste
vie per ricondurci a un tempo in cui Milano era innervata di rogge, rigagnoli, torrenti, canali e navigli: ben 124 erano quelli conteggiati nel 1888. Ma basta tornare un po’ più indietro nella storia per non trovare altro che conferme in questo senso, come hanno ben documentato le 150 immagini d’epoca della mostra Milano città d’acqua.
Già dalla sua fondazione Medhelanon, sorta nella fascia delle sorgive dove l’acqua riaffiorava naturalmente in superficie, si è dovuta confrontare con questo elemento: l’acqua da incanalare per evitare il ristagno delle paludi, quella dei fiumi per costruire canali navigabili destinati al trasporto di merci e persone e quella che serviva per l’irrigazione dei campi. Tutta quest’acqua dava senso alla città, era l’elemento fondamentale del suo paesaggio, fonte di vita, benessere, ricchezza e lavoro, con i tre navigli: il Grande, la Martesana, il Pavese pronti a condurre in Darsena una grande abbondanza di merce di ogni sorta.
Eppure basta arrivare ai primi anni Venti del Novecento per vedere tutta quest’acqua sprofondare sotto centimetri di asfalto. Erano gli anni del Futurismo, del progresso a tutti i costi e vestita del manto della modernità è arrivata anche la decisione del governo Mussolini di ricoprire i navigli. In breve dal 1929 fino agli anni Sessanta venne chiuso un tratto fondamentale dei navigli interni: quegli otto chilometri che da Cassina de’ Pomm in via Melchiorre Gioia, passando per via San Marco e la cerchia dei navigli, connettevano il Naviglio Martesana a quelli Grande e Pavese. Quello che rimase è oggi sotto gli occhi di tutti. Le ragioni avvallate furono in primo luogo di ordine sanitario, anche se una smentita in tal senso arriva dalle tante fotografie di inizi Novecento, quando in questi corsi d’acqua si pescava, si faceva il bagno e si lavavano i panni, tutte immagini che non fanno pensare a grossi problemi di natura igienica. Invece l’altra esigenza forte e reale era dotare la nascente metropoli di un’adeguata rete stradale. Di sicuro l’opportunità di mettere a reddito quello che fino ad allora era stato un patrimonio pubblico prevalse su ogni altra considerazione. Nel conto non entrò il fatto che così facendo si interrompeva la continuità del sistema dei navigli lombardi e si infliggeva alla città una grossa ferita.


Ponte di via Montebello. Foto di Civico archivio fotografico. Courtesy mostra “Milano città d’acqua”
Oggi che l’immagine di Milano città d’acqua sta riconquistando terreno, è tornato in auge anche il progetto di riaprire quegli otto chilometri interrati quasi novant’anni fa e se all’inizio era la diffidenza a prevalere, ora fra tanta curiosità comincia a farsi strada anche qualche consenso. Il progetto, da realizzare all’interno della città e del suo centro storico, rimetterebbe in collegamento l’intero sistema dei navigli di Lombardia: la Martesana con il Naviglio Grande e quello Pavese, poi riconnessi ad Adda, Ticino e Po e quindi in ultima istanza al lago di Como, al lago Maggiore e al mare. Contrariamente a quanto si potrebbe pensare dal punto di vista urbanistico, idraulico, dell’ingegneria e della riorganizzazione della viabilità, il piano è fattibile: ci ha lavorato un team di docenti del Politecnico con un gruppo di esperti di Metropolitana Milanese, dell’Agenzia Mobilità Ambiente e Territorio con alcune direzioni centrali del Comune e il grosso del progetto già c’è. Sei o sette sono gli anni di lavoro stimati procedendo per tratti e dal punto di vista finanziario la questione è affrontabile anche tramite ricerca di finanziamenti. Tuttavia, data la portata dell’iniziativa e considerate le problematiche della viabilità da risolvere, i milanesi, come da programma del nuovo sindaco, potrebbero essere chiamati a dire la loro con un referendum, questa volta vincolante per l’amministrazione pubblica.
Il progetto rappresenterebbe una piccola-grande rivoluzione capace di restituire alla città una nuova visione culturale, urbana e umana. Del resto è bastato riaprire la Nuova Darsena perché in poco tempo diventasse patrimonio di tutti, luogo di svago e decompressione e, perché no, motivo di orgoglio non solo per coloro che abitano lì vicino. Lo stesso accadrebbe con i navigli da vivere e usare passeggiando lungo le rive, percorrendo le alzaie di nuovo riconnesse e navigandoci sopra con le imbarcazioni più diverse, dal battello a 35 posti alle house boat, alle canoe. Semplice bellezza, diletto dell’animo, un sogno che torna a scorrere davanti ai nostri occhi. E basta dirlo per far comparire gli estremi di un sorriso anche sullo sguardo più scettico: perché non pensarci?



In apertura: Bambini alla vedovella. Foto di Archivio Farabola. Courtesy mostra “Milano città d’acqua”. Di seguito Ponte di via Montebello. Foto di Civico archivio fotografico. Courtesy mostra “Milano città d’acqua”

Articolo pubblicato su Club Milano 33, luglio – agosto 2016.




mercoledì 10 agosto 2016

Vuelo in Sora da Oro e Ora Spalvieri






HISTORIADOR VUELO

“Il futuro di un mito”








Vuelo, un mito per il futuro raggiunge una nuova era, un nuovo concetto che supera nuovi limiti, nuove sfide e nuove idee. Il tempo si muove e con esso Cuervo y Sobrinos.

Disegnato e prodotto al 100% in Svizzera, culla dell’alta orologeria, Cuervo y Sobrinos combina sapientemente la tradizionale conoscenza svizzera dell’orologeria alla più moderna tecnologia.

Vuelo incarna il prestigio e la complessità degli orologi svizzeri e il tradizionale spirito latino rivelando uno stile moderno e sofisticato sottolineato dalle nuove caratteristiche anse.

La cassa è caratterizzata da un’incomparabile complessità, la sua costruzione è molto sofisticata, con anse costruite separatamente e perfettamente avvitate alla cassa. La loro silhouette è in sintonia con la forma dei pulsanti.

Vuelo ha un tocco contemporaneo sottolineato dal complesso quadrante multilivello, con contatori piccoli secondi e minuti sul primo livello, 24 ore, indici e numeri sul secondo livello e minuti e secondi stampati sul terzo livello.

La cassa in acciaio del diametro di 44 mm è personalizzata sul fianco con l’incisione “Vuelo” e alloggia un movimento Dubois Dépraz 30342 con datario e 24 ore, e una riserva di carica di 40 ore. Una scala tachimetrica è incisa sulla ghiera.

Le lancette dei minuti e delle ore in acciaio con superluminova bianco donano a questo orologio uno stile moderno e accattivante, la lancetta centrale acciaio ha la punta a freccia rossa vuota per evidenziare il blasone Cuervo y Sobrinos; la lancetta delle 24 ore è in acciaio lucido.

Historiador Vuelo è completato da un elegante e innovativo cinturino in Alcantara e alligatore “pon pon” della Louisiana.



sabato 6 agosto 2016

Luca Sacchi il mio Eden di Roberto Perrone

Alla vigilia delle Olimpiadi di Rio de Janeiro 2016 abbiamo fatto due chiacchiere con il campione di Barcellona ’92, occasione in cui il nuotatore “figlio d’arte” si portò a casa il bronzo nei 400 misti. Presidente oggi della Dds di Settimo Milanese, un’officina dello sport fondata dal padre Remo, e commentatore televisivo, Sacchi non ha rimpianti, ma molti ricordi.


Trent’anni. Quasi, 28. La prima Olimpiade non si scorda mai, come il primo grande amore, anche per un giornalista. Seul, 1988. Era la seconda Olimpiade asiatica, dopo quella di Tokio, 1964. I Giochi Olimpici, i grandi avvenimenti sportivi in genere, servono spesso per mostrare i muscoli di una nazione. La Corea del Sud era allora un Paese rampante, una delle cosiddette tigri asiatiche. Fu un grande spettacolo, anche perché, dopo tre edizioni zavorrate da veti e boicottaggi (1976 Montreal, 1980 Mosca, 1984 Los Angeles) la fine della Guerra Fredda riempì il villaggio di una popolazione di atleti, di ragazzi, che guardavano il mondo con più ottimismo e meno sospetto reciproco. Tra questi un ragazzo milanese di vent’anni (10 gennaio 1968), un nuotatore di Se - sto San Giovanni, figlio, nipote, parente di nuotatori e pallanuotisti, uno dei pochi nuotatori italiani tornati dall’Olimpiade con una medaglia, ora un uomo con due figlie, Viola 15 anni e Greta 10 e una storia da farci conoscere. In vista di Rio de Janeiro, Giochi della XXXI Olimpiade, ecco il racconto di Luca Sacchi, da Milano a Milano, via Seul, Barcellona, Atlanta (da atleta) Sydney, Atene, Pechino, Londra (da commentatore Rai). Suo padre, Remo Sacchi, e sua madre, Bianca Furiosi, si conoscono nella piscina della Rari Nantes Milano. Dopo il loro percorso di atleti, insegnano nuoto a Sesto, infine, nel gennaio del 1977 aprono la piscina della Dds (Dimensione dello sport) a Settimo Milanese. «Mio zio, comunista, la voleva chiamare Dipartimento dello Sport» scherza Luca che venne, ovviamente, sbattuto subito in acqua anche perché «non avevo voce in capitolo». Stessa fine per sua sorella, Marzia, che poi «ha maturato un distacco progressivo per il nuoto e ora fa tutt’altro, è emigrata in Sardegna».

 Luca invece è ancora qui, ora è presidente della Dds e ottimo commentatore per Raisport. Ma ci arriviamo. Anche l’approccio con la piscina non è di quelli esaltanti. 
Non è che all’inizio impazzissi per andare in piscina. Recalcitravo, ma poi mi hanno fatto annusare le gare e allora la cosa mi è piaciuta.

 La resistenza è dovuta anche a condizioni oggettive? 
L’acqua non era calda come adesso, c’erano meno comodità, si soffriva di più,tutto era fatto per gente che si doveva temprare.

 La sua acqua milanese scorre dal 1977 per quasi vent’anni tra la piscina della Dds e quella, «come per tutti i nuotatori milanesi», più grande di via Mecenate. Un bel viaggio, mattino da una parte, pomeriggio dall’altra... 
Io abitavo in via Solari, prendevo i mezzi, un’ora di tragitto.

 A vent’anni si conquista un posto all’Olimpiade di Seul.
 Ci sono arrivato bene, mi sono qualificato ad aprile.

 Fu un’Olimpiade storica... 
Sì, solo che doveva essere l’anno di Giorgio Lamberti nei 200 stile libero, ma lui naufragò subito. C’era un clima disarmante, la spedizione era gestita male, la professionalità al minimo, io ci sguazzavo. Alla fine, nella mia gara, i 400 misti (quelli che racchiudono tutti gli stili: farfalla, dorso, rana, stile libero, NdR), il romano Battistelli conquistò uno storico bronzo e io il settimo posto.

 Memorie?
 Un impatto forte, è incredibile stare tra un gruppo selezionato di atleti, i migliori del mondo. Ed è appunto un mondo dei balocchi, quello dove si vive, una realtà pazzesca: il villaggio olimpico è frequentato da mostri del basket alti due metri, lottatori con le orecchie come polpette, eteree ginnaste, ipercompresse nanette. È una popolazione esageratamente buffa e tra l’altro è tutto gratis. Mense aperte 24 ore al giorno, Coca-Cola a fiumi, l’Eden per un ventenne. E poi attorno, c’era una città che non capivamo per niente e che non ci capiva. Mi è rimasto il rimpianto per non essere stato a Itaewon, il quartiere dei sarti a buon mercato e della paccottiglia d’imitazione.

 La gara? 
Innanzitutto mi sono isolato. Come dicevo il contesto italiano aveva già subito un contraccolpo, di per sé è stata una gara normale, io volevo entrare in finale, e ce l’ho fatta per un nulla. Non mi sono reso conto di cosa era successo. Mi hanno fatto vedere il filmato «urca», ho pensato «faccio parte di quelli che guardavo alla tv». Ero molto infantile. Sono stato contento della gara, è stata storica: il bronzo di Battistelli è stato un trionfo. Il palmarés italiano all’Olimpiade era modestissimo: medaglie, a parte Novella Calligaris, zero. Ero entrato con l’ultimo tempo, guadagnai una posizione.

 E Barcellona 1992?
 Tutt’altra cosa. L’anno prima avevo conquistato l’oro europeo per cui mi sono presentato con ben altre aspettative e maggiore consapevolezza. Tutto era più familiare. Ora le Olimpiadi si assomigliano tutte, stai chiuso in un posto che potrebbe essere ovunque, però a Barcellona si avvertiva che si stava in Europa. Ma per l’Italia si comincia come quattro anni prima... Via alle gare e subito disastro azzurro, i duecentisti a picco, Minervini, considerato da medaglia, non arriva nella finale dei 100 rana. Poi però arrivano due medaglie di bronzo, quella di Battistelli nei 200 dorso e quella, fortemente voluta, di Luca nei 400 misti... Tutto abbastanza bene, batteria controllata, vinta, sensazione non di grande facilità, lì ho segnato il tempo della vita, la tensione cambiava la percezione. La finale come mi aspettavo, rimontina a rana per mettermi in terza posizione, passaggio contratto, ma sostanzialmente ricordo grande presenza, lucidità. 

Terzo italiano sul podio olimpico dopo Calligaris e Battistelli. Fama? 
A Milano qualcosa sì, ma molto meno di quella di altri atleti. Un minimo di popolarità si guadagna con il tempo, non con il singolo risultato. 

Verità. E poi Luca è pratico, concreto, un vero milanese. La storia non è finita. C’è ancora Atlanta. Un capitolo a parte. Volevo fare il colpaccio, la stagione era andata abbastanza bene, ma io non sono arrivato bene lì, non ero brillante, non ero lucido, è paradossale ma è l’Olimpiade dove ho subito di più la pressione che poi era una pressione mia. Però era tutto brutto, una brutta Olimpiade, tutto raffazzonato. La mia gara? Difficile, batteria spremuta, non c’era corrispondenza tra intensità e risultato cronometrico, un atleta normalmente lo capisce per cui era tutto un po’ così, a 28 anni vecchio o maturo o esperto che fossi, mi sono capito meno del solito. Risultato: sesto in una gara opaca, male i primi, chissenefrega, male io, ci avevo provato. Avevo fatto tanta altura, una super altura in Bolivia. Ero il capitano, un ruolo che non prevedeva un compito vero, ero quello vecchio in una nazionale sfilacciata come età e come obiettivi. Era un’Olimpiade di passaggio. Si stava formando una nuova generazione, quella dell’età dell’oro. 

Dopo Atlanta Luca Sacchi lascia l’agonismo.
 Sono andato ai campionati italiani estivi per salutare, mi sentivo più simile ai genitori che ai miei compagni. Perché ho fatto questa scelta? Nell’atleta c’è sempre la paura del domani. Ti abitui a una vita in cui tutti ti stanno dietro e pensavo che andando avanti lo scotto dell’ingresso nella vita reale sarebbe stato più duro. La delusione per quel sesto posto ha fatto il resto. Oggi sarei andato avanti ancora un po’. 

Dal costume (pre-epoca dei costumoni) all’attività di famiglia. Ma non come allenatore.
 Ho creato la sezione triathlon e allenato per la gara a nuoto, ma ho fatto tutta la vita dietro mio padre, prima come figlio, poi come atleta e non volevo rimettermi a ruota come tecnico. 

Com’è stato il rapporto con Remo Sacchi?
 Nella parte finale della mia esperienza scolastica e come atleta prima difficile e poi buono. Si è trattato di un rapporto padre-figlio, certo complicato, ma c’era fiducia l’uno nell’altro. Alla fine c’era un buon clima anche grazie alla libertà che c’è qua dentro.

 Possiamo dire che Luca Sacchi è diventato un imprenditore alla milanese? 
Diciamolo (ride, NdR). Nel 1996 sono entrato in società come dirigente, nel 1998 ho costituito la società di gestione che ha preso in mano il centro sportivo che era di mio padre e dei vecchi soci. Otto anni dopo ho liquidato tutti i soci tranne mio padre, comprato l’immobile e continuato a gestirlo.

 Gli iscritti sono circa 3.500, i tesserati agonisti sono circa 200 nel nuoto e più o meno la stessa cifra nel triathlon. 
Ai tempi in cui mi allenavo a Verona, nel centro tecnico della Federnuoto, eravamo venuti a contatto con i triatleti. La disciplina era affascinante e quindi abbiamo provato ad aprire una sezione giovanile nel 2000 poi, piano piano, siamo cresciuti. Il mercato nel triathlon è più avanzato dal punto di vista commerciale. 

Grandi atleti sono passati da Settimo, per un anno perfino Federica Pellegrini. Brillante commentatore Rai, Luca ha collaborato anche a diversi quotidiani tra cui il Corriere della Sera. Da Milano all’Olimpiade e ritorno. Sempre con gli stessi problemi. Scarsità di strutture? 
Non mi pare che ci sia la volontà di risolvere il problema degli impianti a Milano. Siamo all’ultimo posto tra le grandi città europee, qualche occasione si è presentata ma non si è mai fatto nulla. L’Expo lo sport non l’ha preso in considerazione. 

Una volta si parlava perfino dell’Olimpiade a Milano... 
Anche più di una volta. Adesso attendiamo quella di Roma. Purtroppo noi italiani dimostriamo sempre di non essere pronti ai grandi eventi e da sportivo dire una cosa del genere mi dispiace. Sono terrorizzato all’idea dell’impatto economico sulla città.

 Con o senza l’Olimpiade? 
Milano mi piace, penso che stia vivendo un bel momento è estremamente attiva, è viva, divertente, anche se non è amica dei bambini. Non ci sono spazi verdi, è una città di cemento e questo penalizza la qualità della vita, va vissuta dai 15 anni in su. Prima fa leva sulla capacità di adattamento dell’uomo a qualsiasi situazione nidi e sistema scolastico inclusi. Dalle superiori in poi è bello, chi viene a fare l’università ha mille opportunità e anche la parte nuova penso che sia stata fatta bene. 

E ora un’altra Olimpiade, da commentatore. Che farà “l’acqua azzurra” in piscina? 
Questa nazionale mi piace molto, mi pare matura e preparata, arriva da un Europeo diverso da quello del 2012 che rappresentò un’illusione. Questo è un bel gruppo, di ragazzi “antichi” rappresentati dalla Pellegrini mentre c’è il gruppo dei giovani con Paltrinieri in testa. Sono forti, hanno un bell’amalgama malgrado la differenza d’età. 

Prima di partire per Rio mettiamo in valigia un vademecum-souvenir per rintuzzare la “saudade”. Luogo del cuore? 
Mi piace la zona che va dalle Colonne di San Lorenzo a Porta Ticinese, poi la parte nuova, attorno a piazza Gae Aulenti.

 Piatto milanese del cuore? 
Cotoletta. 

Piatto di cucina internazionale? 
Non uno in particolare, mi piace la cucina orientale. 

In vacanza, dove? 
Storicamente in Grecia, quest’anno Minorca. 

Il più grande atleta? 
Nel nuoto Popov, poi amavo Michael Jordan e penso che Bolt sia qualcosa di pazzesco. 
Valigia chiusa, buon viaggio.


Si ringrazia della pubblicazione Club Milano 

lunedì 18 luglio 2016

Coppa D'Oro delle Dolomiti

Si svolgerà dal 21 al 24 luglio prossimi, l’edizione 2016 della Coppa d’Oro delle Dolomiti per auto storiche, con partenza e arrivo a Cortina d’Ampezzo.

La storia:

La Coppa d’Oro delle Dolomiti si svolse in dieci edizioni, dal 1947 al 1956, e divenne da subito unica e affascinante per i passaggi spettacolari sulle Dolomiti, le montagne che cambiano colore a ogni ora del giorno (dal 2009, Patrimonio mondiale dell’Umanità Unesco). Nata per volontà di Ferruccio Gidoni, presidente dell’AC Belluno di allora, la corsa ebbe come testimonial d’eccezione il mitico Tazio Nuvolari, che partecipò come ospite d’onore alle prime edizioni.

Fu un importante banco di prova per piloti affermati di grandi case automobilistiche che si trovavano a competere anche con perfetti sconosciuti, com’era nella tradizione delle corse di quei tempi; piloti non professionisti ma sempre e comunque determinati a spingere al massimo dando filo da torcere ai più rinomati campioni.


Il percorso rimase sempre quello di 303,800 chilometri (riprodotto nella sede dell’AC Belluno). Partendo da Cortina: Passo Falzarego, Agordino, Arabba, Passo Pordoi, Val di Fassa, Passo Rolle, San Martino di Castrozza, Fiera di Primiero, Feltre, Belluno, Longarone, Pieve di Cadore, Auronzo, Misurina e il Passo Cimabanche. Quindi, il ritorno in quella che è conosciuta in tutto il mondo come la "Regina delle Dolomiti", Cortinad'Ampezzo.


IN GARA, 120 AUTO STORICHE

Arturo Merzario
Alla Coppa d’Oro delle Dolomiti 2016, classificata come “Grande evento internazionale di regolarità classica”, potranno partecipare un massimo di 120 auto costruite tra il 1919 e il 1961. E’ prevista, inoltre, una categoria speciale con apposita classifica riservata ad un massimo di 30 vetture realizzate tra il 1962 e il 1965 che si sono distinte per meriti sportivi o che abbiano particolare interesse storico.

Tra le novità dell’edizione 2016, in programma dal 22 al 24 luglio, ci sarà anche una tappa a Lienz, nota meta turistica austriaca al confine con l’Italia, ma anche un percorso inedito e la conferma della tappa “in notturna”, principale novità dello scorso anno.



Historiador Cronomundo 
Hanno già confermato la loro partecipazione all’edizione 2016 Giordano Mozzi e Stefania Biacca, pluricampioni delle gare di regolarità che lo scorso anno si sono piazzati secondi su una Triumph Tr2 del 1955. Ma anche la leggenda della Formula 1 Arturo Merzario che nella passata edizione gareggiò al volante di un’affascinante Alfa Romeo 1900 Sport carrozzata Bertone (vedi foto).

Il vincitore sarà premiato dal Presidente di Cuervo ySobrinos, il Sig. Marzio Villa, con un orologio della collezione dedicata al mondo delle corse: Historiador Cronomundo - collezione Racing.

Cuervo y Sobrinos parteciperà alla competizione anche con un proprio equipaggio su una AC/ACECA del 1955.

sabato 9 luglio 2016

24 Ore di Le Mans Classic 2016

Torpedo Crono Pulsometro Edizione Limitata
Torna la 24 Ore di Le Mans Classic, riconosciuta universalmente come la gara più difficile del mondo. 

Siamo All'ottava edizione dell'appuntamento dedicato al mondo delle auto d'epoca, che ha scadenza biennale.

Sul leggendario circuito de La Sarthe da sabato 9 luglio e domenica 10 luglio, tutti gli appassionati di auto da collezione potranno ammirare i bolidi che hanno scritto la storia di quest'epica corsa.

La manifestazione accoglierà circa 8.200 vetture storiche che si sfideranno di giorno e di notte nelle varie competizioni previste. 

Sono state definite sei classi in gara: si parete dalla 1, per le vetture costruite dal 1923 al 1939, poi c'è la Classe 2 (1949-1956), la Classe 3 (1957-1961), la Classe 4 (1962-1965), la Classe 5 (1966-1971) e la classe 6 (1972-1981).

In questa edizione è stata aggiunta una Classe per il celebre Gruppo C, cioè quelle che hanno partecipato all corsa della 24 Ore di Le Mans dal 1983 al 1993. Si tratta di vetture che sono ancora in grado di competere con i prototipi attuali e che sono in grado di raggiungere anche velocità di punta superiori ai 300km/h. 

Cuervo y Sobrinos Team
I piloti avranno modo di riposare per qualche ora, si guida in media per 6-9 ore con stint di 60 minuti ( ma spesso sono doppi).

La prima sosta non prevede il cambio di pilota, ma solo il rifornimento di carburante e, in caso di necessità, la sostituzione delle gomme.

I tecnici, invece, lavorano senza sosta per coordinare i piloti, visto che si lavora con equipaggi di tre unità, e per monitorare costantemente tutti i parametri.

Patrick Peter, già organizzatore del Tour de France auto, sedici anni fa realizzò un sogno che poteva sembrare una follia me che ogni due anni richiama a Le Mans oltre 160 mila spettatori,


Vincent Tourneur con Marzio Villa presidente
 di Cuervo y Sobrinos
Ecco le sue dichiarazioni alla vigilia di questa nuova edizione, raccolte dal sito della Gazzetta dello Sport.

"Riaprire il rettifilo delle Hunaudiéres non era per nulla semplice: le autorità e la sicurezza non erano per nulla convinti. Ma grazie alla partecipazione dei club di marca, al supporto decisivo dell'Aco ( organizzatore della 24 Ore, ndr) e alla nostra insistenza tutto è cominciato. E terminata la prima edizione ci siamo detti: è andata, avanti così".

La 24 Ore di Le Mans è un'opportunità da non perdere, ma l'evento francese può essere seguito anche da casa, la manifestazione parete sabato 9 luglio alle ore 16.00, sarà trasmessa via web in diretta con una piattaforma TV raggiungibile attraverso il sito della gara ( clicca qui per aprirlo).

Fonte dell'articolo Il Sussidiario.net 





domenica 19 giugno 2016

Fasi Lunari e Calendari.

Moon Fhase di Cuervo y Sobrinos 

I Sumeri, gli Egizi, i Romani, i Cinesi, Risalgono a circa 30mila anni fa i primi tentativi di misurare il succedersi di giorni e stagioni. da allora, molte culture hanno corretto le tecniche. 



Il tempo non esiste, scrive Carlo Rovelli; il tempo esiste, eccome, replicano i suoi critici, Se esiste, il tempo è inafferrabile, ed è perciò, da sempre, fonte di sottile dispute. Nell'undicesimo libro delle Confessioni scritte intorno al 400 d.C., Sant'Agostino metteva bene a fuoco la sua inafferrabilità: << Allora cosa è il tempo?>>, si chiedeva, <<se nessuno me lo domanda non lo so più>>.

Tuttavia, non si può fare a meno di osservare che, fin dai tempi più remoti, gli uomini hanno avvertito l'esigenza di " misurare lo scorrere dei giorni , dei mesi, e delle stagioni, per organizzare in proprio la vita sociale.

 Dall'immutabile alternanza del giorno e della notte, che regolava il tempo del lavoro, al succedersi delle stagioni che dettavano i ritmi dei lavori agricoli  si è cercato anche di organizzare momenti di vita comunitaria che si ripetevano ogni anno, come celebrazioni o eventi memorabile, per questa esigenza si cercavano intervalli più brevi, scanditi dalle fasi lunari e non è un caso che tutte civiltà vi fecero ricorso inventando i mesi,

Gli Egizi circa 6mila anni or sono, fissarono la durata dell'anno solare in 365giorni con un almanacco suddiviso in 12 mesi di 30 giorni, una precisione stupefacente, che ha richiesto solo piccoli ritocchi per fissare il calendario ancora in uso tutt'oggi.

sabato 4 giugno 2016

MODENA CENTO ORE 2016: COAST TO COAST

Cuervo y Sobrinos Top Patner 
Per il 16° anno della gara, l’organizzazione ha preparato un’edizione come sempre speciale, che attraverserà l’Italia da est a ovest, dall’Adriatico al Tirreno.
Boom di iscrizioni, che si sono chiuse con mesi di anticipo.
Grandi novità alla Modena Cento Ore 2016, che si svolgerà dal 7 al 12 giugno prossimi: il team della Scuderia Tricolore e di Canossa Events ha preparato un programma ancora una volta unico, che vedrà gli equipaggi sfidarsi per quattro giorni sulle più belle strade di Emilia Romagna e Toscana, da Rimini a Firenze, a Forte dei Marmi e a Modena.
Tre gare in pista nei leggendari circuiti di Imola, Misano e del Mugello e in salita su 12 strade chiuse al traffico.

Simon le Bon
Le iscrizioni hanno confermato il grande entusiasmo per l’evento, che ha registrato il tutto esaurito quattro mesi prima della partenza, con domande di partecipazione giunte da tutto il mondo. Tra gli iscritti si contano grandi appassionati e piloti famosi, come il mitico cantante Simon Le Bon o Jürgen Barth, vincitore della 24 Ore di Le Mans nel 1977. La Modena Cento Ore è l’unica gara in Italia, e una delle poche nel mondo, in cui i piloti devono sfidarsi sia in pista che in prove speciali su strada: un mix vincente tra rally e velocità in circuito,reso ancor più avvincente dalla partenza in griglia.
J.Barth vincitore della 24H di Le Mans 1977

La classifica viene formata sommando i tempi delle gare in pista ai tempi delle prove speciali.
Al seguito della gara di velocità è inoltre prevista una sezione ‘regolarità’ che offre lo stesso programma con un approccio meno agonistico, con giri cronometrati in pista e prove di media sempre su strada chiusa al traffico, per chi preferisce godersi il piacere del viaggio.


Historiador Piccoli Secondi 
I vincitori di ogni categoria riceveranno un elegante orologio Cuervo y Sobrinos ideato in esclusiva per la Modena Cento Ore 2016.

Il percorso attraverserà l’Italia da est a ovest in un susseguirsi di tappe spettacolari, che potranno essere anche ammirate dal pubblico.

Le meravigliose auto partiranno infatti l’8 giugno da Rimini, per sfidarsi in pista all’ Autodromo Enzo e Dino Ferrari di Imola e percorre le strade del Passo della Sambuca, Brisighella,
Palazzuolo sul Senio, Predappio, Cesena e Santarcangelo di Romagna.

La seconda tappa, il 9 giugno, partirà con la gara in pista al Misano World Circuit Marco Simoncelli e da qui verso il Passo dello Spino, Chiusi della Verna, il Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi e il Passo della Consuma, per arrivare infine nel cuore della splendida Firenze.

Il 10 giugno da Firenze ci si trasferirà all’Autodromo Internazionale del Mugello per l’adrenalinica gara in pista, poi si raggiungeranno la Garfagnana, Barga, il Ciocco, Lucca e Pietrasanta. L’arrivo di tappa è previsto a Forte dei Marmi, una delle località più famose della Versilia.

L’11 giugno, la quarta ed ultima tappa partirà da Forte dei Marmi e, attraverso le Alpi Apuane e
il Passo delle Radici, raggiungerà l’Emilia con l’ultima prova speciale al Castello di Carpineti, prima di concludersi a Modena, cuore della ‘Motor Valley’.

Proprio a Modena, in Piazza Grande, il pubblico potrà ammirare l’arrivo finale delle splendide vetture al cospetto della Ghirlandina. L’arrivo è previsto a partire dalle 17 e la cerimonia del podio si terrà alle 19.00.
La Modena Cento Ore non è solo gara, ma è soprattutto una combinazione vincente di auto meravigliose e di gentlemen drivers che arrivano da tutto il mondo per questa opportunità unica di vivere l’Italia in un modo speciale combinando l’adrenalina della competizione con il piacere della buona cucina italiana e della scoperta dei territori attraversati dal percorso.

La fatica della guida è infatti interrotta da momenti conviviali che vanno dalla ‘festa di paese’ nel centro di Palazzuolo sul Senio alla profondità spirituale della sosta al Santuario Francescano di Chiusidella Verna, all’atmosfera elegante del CioccoResort, ai sapori tipici del rifugio di montagna al Passo delle Radici.
Il programma è poi completato da serate curate nei minimi dettagli, ognuna rappresentativa delle eccellenze delle quattro città che ospitano la gara: Rimini, Firenze, Forte dei Marmi e Modena.

“La Modena Cento Ore si è ormai stabilmente affermata come una delle più importanti gare nel mondo e come un punto di ritrovo dei grandi nomi del settore.”, afferma Luigi Orlandini, presidente della Scuderia Tricolore e visionario fondatore di Canossa Events. “Lo testimonia la nomination agli International Historic Motoring Awards, gli ‘Oscar’ del motorismo storico, dove tra i tanti eventi selezionati come finalisti, dall’Italia c’erano solamente la 1000 Miglia e la Cento Ore. Un successo dovuto soprattutto all’entusiasmo sincero dei partecipanti e alla passione dell’affiatato team che ogni anno, per 12 mesi, lavora sodo per costruire un evento sempre più bello".
L’evento è reso unico anche grazie al coinvolgimento di partner d'eccellenza come PorscheRM-Sotheby’s, casa d’asta leader mondiale nel settore, Straight Eight Logistics, da quest’anno partner logistico, Cuervo y Sobrinos, che ha realizzato un orologio automatico dedicato, e Blackfin, eccellenza Italiana nell’eyewear.
Riconfermato l’ormai tradizionale supporto alle attività del Panathlon Club di Modena, con una importante donazione finalizzata al sostegno di progetti sportivi per ragazzi disabili.
Confermata anche l’attenzione all’ambiente da parte dell’organizzazione, che anche quest’anno ha adottato volontariamente il protocollo CarbonZero e compenserà completamente le emissioni residue di CO2 mediante piantumazione di nuovi alberi nell’Appennino ToscoEmiliano: la Modena Cento Ore è l’unico evento del settore a ‘emissioni zero’.

temporasrl

lunedì 30 maggio 2016

Al Bar del Museo

Se un tempo la fruizione dell’arte si concludeva all’interno delle sale tra tele e sculture, ora i musei invitano a restare, aprendo al loro interno bar spettacolari, piccole oasi di relax dove sorseggiare un drink o abbandonarsi al piacere della lettura. Cosi inziava un articolo del 2015 di Antonella Armigero su Club Milano. Creare e vivere un ambiente sempre più con ritmi diversi, lenti, eleganti art decò, e non possiamo includere di nostra inziativa la Boutique-museo di Cuervo y Sobrinos unica nel sua genere  

Bar Luce foto di Attilio Maranzano
Da Milano a Roma, da Stoccolma a Parigi passando per Londra, un viaggio alla scoperta dei bar all’interno dei musei più interessanti in Italia in Europa, luoghi speciali dove prendersi un attimo di pausa senza rinunciare all’arte, ma per immergersi nella cultura anche con tutti gli altri sensi.
Il Bar Luce è una delle attrazioni che rende la Fondazione Prada di Milano degna di una visita, anzi più di una. Dopo il percorso tra le sale museali all’interno e all’esterno dell’edificio, un’ex distilleria frutto di un sapiente progetto di recupero in Viale Isarco 2, è possibile immergersi nelle atmosfere vintage di questo gioiello progettato da Wes Anderson in persona. Molti ammettono di aver acquistato il biglietto solo per sostare un po’ tra le vetrate anticate, le sedie in formica dai colori tenui, il biliardino e i flipper, tornando per qualche ora indietro nel tempo. L’obiettivo era quello di omaggiare i bar vecchia Milano e il risultato è stato sorprendente, tanto da attirare moltissimi curiosi che si attardano ogni giorno fino all’ora di chiusura (alle ore 22.00) magari per un aperitivo d’altri tempi o un digestivo.

Caffè delle Arti 
Spostandoci nella Capitale troviamo alcuni dei musei più belli al mondo e anche i bar interni si adeguano dimostrandosi all’altezza della magnificenza di questi luoghi, uno su tutti, sicuramente il più elegante è ilCaffè delle Arti all’interno della Gnam, la Galleria d’Arte Moderna. Aperta nel ’97 questa caffetteria, annessa all’elegante ristorante, ben s’integra nel palazzo dei primi Novecento, inspirato alla solennità dello stile classico in zona Parioli. Pareti bianche adornate di quadri antichi, statue e bronzi mescolati a poltroncine e a tavolini bianchi, dove rifocillarsi e prendere fiato tra una sessione artistica e l’altra. Ma la vera magia di questo locale è sicuramente la terrazza esterna, immersa nel verde del parco: approdo privilegiato, soprattutto nella stagione estiva, di intellettuali che qui si attardano fin’oltre la chiusura della galleria.
Tate cafè
Se invece vi trovate nelle City londinese per turismo o per lavoro è impossibile non includere nel vostro tour con una visita alla Tate Modern, il tempio dell’arte moderna. Oltre alle spettacolari opere d’arte custodite in quella che fino al 1981 era una vecchia centrale termoelettrica, qui potrete godere dello spettacolare panorama che offre il bar ristorante posto al settimo piano. Seduti su uno dei tavolini affacciati sulle vetrate vedrete scorrere davanti ai vostri occhi le chiatte che navigano sul Tamigi, fino a riconoscere i contorni della cattedrale di Sant Paul, del Millennium Bridge e del 30 St Mary Axe.

Caffè Campana foto di foto Travelmodus/Muuruz
S’ispita al mondo di Jules Verne, e di Emile Gallè il Cafè Campana, realizzato dal famoso duo di designer brasiliani Ferdinando e Gimberto Campana che hanno riprogettato e ristrutturato il vecchio Café de l’Horloge al quinto piano del Musée d’Orsay di Parigi. L’atmosfera ricreata dai due designer è quella del sogno, anche grazie a elementi che richiamano l’acqua e al grovigli di fili colorati come il corallo che si mescolano a superfici a specchio. A spiccare su tutto, c’è il grande orologio posto sulla vetrata che ricorda il passare inesorabile del tempo o il suo fermarsi per assaporare appieno questa magia.

Fotografiska bistro
Dalle atmosfere oniriche a quelle calde e accoglienti del caffè del Fotografiska. Ci troviamo adesso nella gelida Stoccolma, all’interno del museo della fotografia, che ospita gli scatti dei più importanti fotografi internazionali. Qui oltre a godere della vista delle formidabili opere esposte, i visitato trovano un posto privilegiato dove rifocillarsi e osservare la città dall’acqua. Il museo infatti è ospitato all’interno di un edificio di mattoni rossi in stile Art Nouveau, che un tempo funzionava come dogana mercantile, stretta tra il mare da un lato e le scogliere di Södermalm dall’altro. Così mentre si sorseggia un caffè o si gusta una delle specialità locali proposte dal bistrot è possibile vagare con gli occhi e catturare i colori scintillanti della città vista dalle finestre tutta parete.

La boutique-museo del Habana 
Cuervo y Sobrinos ha aperto una magnifica gioielleria museo a La Habana, città in cui il marchio venne fondato alla fine dell'Ottocento.
L'inaugurazione nel Luglio del 2009 è stato un evento storico: Cuervo y Sobrinos è infatti il primo marchio di orologeria di lusso ad aprire un negozio monomarca a La Habana.

La boutique, un ampio locale chiamato "El Reloj Cuervo y Sobrinos" (L'orologio Cuervo y Sobrinos), occupa un edificio emblematico del XIX secolo nella centralissima Calle Muralla, dove un tempo si trovava la boutique originale.

Tradizione ed Eleganza
Lo spazio dedicato alla vendita degli orologi di lusso e dei gioielli, dove si espongono le collezioni di orologeria e gli articoli da scrittura, ospita anche un museo di pezzi antichi e un elegante bar. In quest'atmosfera squisitamente Art Decó spicca la cassaforte originale di Cuervo y Sobrinos, trasferita qui dalla vecchia sede di Calle San Rafael e perfettamente a tono con l'ambiente della gioielleria attuale.

giovedì 14 aprile 2016

«IL PIACERE DI SCRIVERE»



 La collezione di strumenti di scrittura “Historiador” include una penna stilografica e una penna a sfera. Entrambi i modelli sono un tributo all’anno 1882 della Casa e sono stati realizzati in edizione limitata di 882 per la stilografica e di 1000 pezzi per la penna a sfera.

Questi gioielli di scrittura sono ancora più esclusivi se si considera che l'elegante colore madreperla non è mai omogeneo, rendendo ogni pezzo assolutamente unico!

Il design e il fascino di queste penne racchiudono in un perfetto equilibrio i valori estetici essenziali di Cuervo y Sobrinos e l'eleganza della decorazione classica.

Il logo Cuervo y Sobrinos è inciso sul cappuccio; la clip è un'opera d'arte, con riproduzione del motivo delle anse dell’orologio Historiador, ennesima testimonianza dell'attenzione che la Casa riserva ai dettagli. In stile Art Déco, tutti i dettagli presentano decorazioni placcate in oro rosa, sono disponibili anche nella versione in rodio.







sabato 2 aprile 2016

HISTORIADOR SQUELETTE

HISTORIADOR SQUELETTE
Un capolavoro svizzero con eredità Latina



nei precedenti post abbiamo pubblicato alcune anticipazioni  delle collezioni Historiador e Prominente presentate al Salone Internazionale dell'Orologeria di Basilea.  Con il post di oggi e nei prossimi pubblichiamo i dettagli di Basel 2016.

Cuervo y Sobrinos ha infuso lo spirito del marchio nel nuovo Historiador Squelette. La cassa in acciaio richiama le curve di un disegno trovato nell’officina abbandonata dell’Avana verso la fine degli anni ’40.

Fedele alle sue radici Art déco, l’orologio si basa su un unico esclusivo disegno di Cuervo y Sobrinos sia per il quadrante sia per la speciale decorazione sul movimento.

Questo creativo orologio vi porterà in un’altra dimensione. La versione squelette del modello Historiador ha tutto ciò che si può desiderare – la bellezza e la trasparenza di un ricercato movimento automatico svizzero, la massa decorata e personalizzata con “Squelette” e il logo “ Cuervo y Sobrinos” e un quadrante finemente decorato e traforato. 

L’Historiador Squelette ha le lancette delle ore e minuti con Superluminova, quella dei secondi centrali in rosso ed è completato da un elegante cinturino nero in alligatore della Louisiana.

Il massimo dello stile Art déco, un disegno esclusivo che lo rende inimitabile con un tocco latino proveniente dall’Avana dal 1882.