venerdì 29 maggio 2015

1000 Miglia con Cuervo y Sobrinos un pò di storia

COME NACQUE LA MILLE MIGLIA

Nel corso degli ultimi decenni, numerose sono state le ricostruzioni, più o meno fedeli, di come ebbe inizio la straordinaria epopea di quella che sarebbe poi stata conosciuta come «la corsa più bella del mondo».

La versione più nota, e ovviamente attendibile, è senza dubbio quella a firma di uno dei fondatori, Giovanni Canestrini, riportata sul suo famosissimo libro "Mille Miglia" edito nel 1967.

In queste pagine - riprese anche da Giovannino Lurani nell'altrettanto famoso "La storia delle Mille Miglia", nel 1979 - è descritto il memorabile episodio avvenuto il 2 dicembre 1926, giorno ormai riconosciuto ufficialmente come data di nascita della Mille Miglia.

Canestrini, con il suo stile venato da un pizzico di malcelata ironia, narra dell'arrivo nella sua casa milanese di Via Bonaventura Cavalieri del gruppo dei bresciani costituito da Franco Mazzotti, Aymo Maggi, Renzo Castagneto, (gli altri tre "moschettieri") e l'amico Flaminio Monti.

Il resto del racconto è ormai leggenda, fino all'intervento di Franco Mazzotti che pronuncia le fatidiche parole: "Coppa delle Mille Miglia".

La cronaca di Giovanni Canestrini, per quanto aderente ai fatti, risulta parziale e condizionata sia dalla volontà di non risvegliare antiche polemiche, sia dal periodo nel quale scrive, a poco più di due decenni dai tragici eventi che hanno visto la conclusione del regime fascista, dopo la guerra mondiale.

La lettura di un analogo articolo dello stesso Canestrini, pubblicato sul "numero unico" della Mille Miglia 1930, pur senza modificare minimamente la narrazione degli avvenimenti effettuata trentasette anni dopo, offre una visione più complessa - e più aderente alla realtà dell'epoca - di come autenticamente si svolsero i fatti, in quel fine autunno del 1926.

Per meglio comprendere come si giunse a quell'incontro in casa Canestrini, si deve tornare indietro nel tempo di alcuni anni, subito dopo la Prima Guerra Mondiale.

LA PRIMA MILLE MIGLIA: L'ORGANIZZAZIONE

A Brescia, comunque, non si scoraggiarono per nulla; le recenti vittorie in importanti competizioni ottenute rispettivamente da Aymo Maggi e dalle vetture O.M., la fabbrica di casa, tenevano alti gli animi.

La speranza era di poter schierare al via almeno una trentina di concorrenti, in quella che si riteneva sarebbe stata un'esperienza irripetibile: la prima, e unica, "Coppa delle Mille Miglia".

A questo punto della storia, i nostri eroi coinvolsero nell'organizzazione altri personaggi che, seppur oggi poco ricordati, sostennero ruoli indispensabili alla nascita della Mille Miglia: Armando Cougnet, Alfredo Giarratana e Augusto Turati.

La "Gazzetta", attraverso il direttore Emilio Colombo aveva offerto non solo la collaborazione del giornale, ma anche organizzativa, attraverso Cougnet, il "papà del Giro d'Italia ciclistico".

Fu deciso che Castagneto e Cougnet eseguissero rapidamente un giro di ricognizione del percorso, che fu frazionato in venti zone assegnate ad altrettanti fiduciari scelti tra i corrispondenti della Gazzetta dello Sport.

A costoro, sotto la direzione di Cougnet come al Giro d'Italia, fu affidato l'inquadramento dei controlli e dei passaggi nei diversi centri.

Il 18 gennaio 1927, l'A. C. Brescia inaugurava la sua nuova sede, dove cominciarono a giungere le prime iscrizioni: la prima fu quella di Zampieri, con una Amilcar CG SS.

Franco Mazzotti assunse l'incarico di Commissario della Manifestazione, Renzo Castagneto fu nominato Direttore di corsa e Segretario della manifestazione (incarichi che manterrà fino al 1957), Maggi, Giarratana e Oreste Bertoli Commissari Sportivi. Canestrini e l'ing. Ottavio Fuscaldo, progettista delle vetture O.M., Commissari Tecnici.




GLAMOUR
Un abito di colore marrone può trasformarsi in blu, diventando quindi un "giallo"?

Impossibile? No, se questo abito del 1950 è il più famoso della storia dell'automobilismo: si tratta del celebre doppiopetto indossato dal Conte Giannino Marzotto durante la sua vittoriosa Mille Miglia.

Le cronache del tempo di Manuel Vigliani, il "menestrello della Mille Miglia", narrano dello stupore e dello scetticismo con i quali fu accolto in Viale Venezia il rampollo della dinastia di Valdagno, i Marzotto fondatori di quello che è stato il più grande gruppo tessile italiano.

Alle punzonature di Piazza della Vittoria e poi alla partenza da Viale Venezia, Giannino -al volante della sua Ferrari 195 S berlinetta - sfoggiava un impeccabile abito con cravatta, subendo l'ironia dei professionisti e degli affermati campioni che indossavano la consueta tuta d'ordinanza.

I favoriti della vigilia risero un po' meno quando il giovane nobile vicentino, in maniera del tutto inaspettata, concluse la gara con uno strepitoso primo posto, consegnando il doppiopetto alla leggenda.

Per la cronaca, Giannino Marzotto confermò le sue doti di fuoriclasse ripetendo il successo nel 1953, questa volta indossando un più comodo maglione di cachemire, ma senza rinunciare alla cravatta. In entrambe le occasioni, al suo fianco c'era Marco Crosara, amico fin dall'infanzia.

Ciò che Vigliani non riportò nei suoi articoli è il colore dell'abito; le foto dell'epoca, ovviamente in bianco e nero, non sono di alcun aiuto, salvo per stabilire che il tessuto non è in tinta unita ma con una trama detta "occhio di pernice".

La Ferrari 195 S era di colore azzurro metallizzato e qualcuno scrisse che la cravatta indossata da Marzotto era in tinta con la vettura.

In un'intervista rilasciata alla Rai negli anni Settanta, Giannino Marzotto affermò che la giacca era di colore blu. Tale intervista è stata scovata negli archivi Rai da Ezio Zermiani che, in qualità di curatore del materiale audiovisivo del Museo della Mille Miglia, lo inserì nell'audio-guida del Museo stesso, dove l'abito fu esposto per due anni.

Logico quindi lo stupore dei visitatori del Museo quando, mentre ascoltavano il testo, si trovavano a osservare un abito che pareva amaranto (effetto ottico dato dalla trama dell'abito costituita da ordito e trama del tessuto con filati neri, beige e rossi).

Ma come era arrivato a Brescia il celebre completo? Nei primi anni Novanta, Giannino aveva estratto l'abito dalla naftalina e ne aveva fatto dono al Museo dell'Automobile Bonfanti di Romano d'Ezzellino, nei pressi di Bassano, del quale era presidente onorario.

All'atto dell'apertura del Museo della Mille Miglia - su richiesta del Club della Mille Miglia Franco Mazzotti - gli amici di Bassano lo concedettero in comodato al museo bresciano per un periodo di due anni, insieme alle coppe vinte da Marzotto alla Mille Miglia.


L'abito arrivò a Brescia completo di una camicia di seta color burro e di una cravatta a con disegno spigato di tonalità beige, al centro della quale una tarma aveva scavato un bel buco.

Il curatore della sezione moda e costume del Museo della Mille Miglia, il noto costumista teatrale Simone Valsecchi, decideva quindi di coprire il buco con una spilla.

All'inaugurazione del Museo, il 5 novembre 2004, con lo spirito che lo contraddistingue, Giannino Marzotto aveva pubblicamente affermato - tra un brindisi di buon augurio e l'altro - che non si riconosceva nell'immagine fornita al pubblico dal suo abito, in quanto la spilla sulla cravatta lo rendeva un po' "effemminato" (l'espressione originale fu molto più colorita e politicamente scorretta…). Marzotto aggiunse che la camicia e la cravatta non erano quelle originali e che avrebbe provveduto a portare a Brescia quelle giuste.

Un mese più tardi, sabato 11 dicembre, all'Hotel Vittoria, fu tenuta la riunione pre-natalizia del Club della Mille Miglia Franco Mazzotti, del quale Giannino Marzotto era presidente.

Prima del pranzo, il Conte aveva scherzosamente rinnovato il suo disappunto per la scarsa virilità dell'abito esposto con la spilla.

Giunta l'ora dei discorsi ufficiali, brandendo un panino al posto del microfono che non funzionava, Marzotto esclamava: «…quell'abito non è il mio, ma quello di un effeminato (eufemismo… N.d.A.); non lo riconosco, anche perché è l'unico doppiopetto che ho posseduto! Questo l'avranno comprato da Benetton. Per mettere le cose a posto, ho portato la camicia che indossavo quel giorno, fatta con la seta di un paracadute americano, e una cravatta appropriata. La spilla la regalo al presidente Bontempi (allora presidente di ACI Brescia)».

Mentre Giannino strizzava l'occhio al direttore del Museo, ci furono grandi risate tra chi ben conosceva la verve del Conte Marzotto che, notoriamente, indossava solo abiti a doppiopetto e che, appartenendo alla famiglia proprietaria di un immenso impero economico basato sull'industria tessile, oggi in concorrenza con i vicini Benetton, possedeva un ricco guardaroba.

Sconcerto, al contrario, tra i molti presenti privi di familiarità con lo spumeggiante campione dell'automobilismo; inevitabile che molti si chiedessero se l'abito esposto al Museo Mille Miglia fosse realmente quello originale, compresi gli inviati della stampa che, il giorno dopo, titolarono che l'abito non era di Marzotto.

Possiamo tranquillizzare gli appassionati: abito e camicia - allora esposti al Museo Mille Miglia e oggi al Museo dell'Automobile Bonfanti - sono quelli indossati da Giannino nel 1950 durante la corsa vittoriosa, mentre la cravatta non è quella originale, pur appartenendo allo stesso Marzotto.

Resta però il dubbio sul colore dell'abito. Aldilà di quanto, questa volta seriamente, affermato dallo stesso Marzotto all'inaugurazione del Museo (prima di vedere l'odiata e ambigua spilla) sull'autenticità dell'abito, il "giallo" è svelato in un capitolo del libro "La saga dei Marzotto", pubblicato da Giorgio Nada Editore a firma di Cesare De Agostini, uno dei più noti storici dell'automobile.

Sotto una foto di Giannino Marzotto, ritratto al Museo Bonfanti a fianco dell'abito, si legge: «Cominciò a far capolino una leggenda che, come sempre, era più bella della realtà: quel doppiopetto, di un colore vagamente rossiccio-marrone, divenne blu.

Il Conte che vince la Mille Miglia in doppiopetto blu era qualcosa di irresistibile per i giornalisti, già incuriositi dall'età del vincitore: ventidue anni, un record mai più battuto».

Nel corso di un colloquio informale con i soci del Club della Mille Miglia, Marzotto precisò: «In verità, nel 1950, partecipai a quella mia prima Mille Miglia convinto di ritirarmi per qualche problema all'auto. Temendo di dover affrontare un lungo viaggio di ritorno, magari con il treno, ritenni opportuno prendere il via vestito bene, in abito formale e cravatta». "Noblesse oblige", caro Conte…

Sessantadue anni dopo quella vittoria, il 14 luglio 2012, il Conte Giannino Marzotto ci ha lasciati, all'età di ottantaquattro anni, mantenendo - fino a pochi mesi dalla sua scomparsa - un'acutezza intellettuale notevolissima, condita da un pizzico di spirito goliardico.

Chi ha avuto la fortuna di conoscerlo, ha scoperto una carica vitale inarrestabile, tale da sorprendere chi si attende un atteggiamento di ben altra natura, da un personaggio di tale fama e lignaggio.

Un episodio emblematico ha ancor più commosso chi lo ha ammirato: Marco Crosara, coetaneo e compagno di vita e di avventure di Giannino, nonché suo coéquipier nelle due Mille Miglia vittoriose, si è spento il 19 luglio, cinque giorni dopo il suo grande amico. Forse per ricomporre l'equipaggio vincente…

2015

 Juan Tonconogy e Guillermo Berisso, su Bugatti T 40 del 1927 sono i vincitori a Mille Miglia 2015.

Secondo posto per Andrea Vesco e Andrea Guerini, su FIAT 514 MM 1930. Terzo Ezio Martino Salviato e Caterina Moglia su Bugatti T 40,1928.

Marzio Villa e Maria Cristina Abello, su FORD A DELUXE del 1931, con una straordinaria posizione nella classifica finale.

Marzio Villa e Maria Cristina Abello  indossando i colori di Cuervo y Sobrinos un  omaggio per le automobili d'epoca che sono sempre stati un simbolo di lusso raffinato, lo stesso lusso del marchio dalla sua creazione..
L'obiettivo finale della Mille Miglia, dopo più di 1600 km di strade spettacolari, attraversando le più belle città italiane tra paesaggi naturali spettacolari.






sabato 23 maggio 2015

SMOKING ... STORIA DELLA GIACCA PER FUMARE Scritto da Massimiliano GIANNOCCO

Smoking Jacket ... le origini e la storia di una giacca tanto cara ai fumatori di Sigari Avana 


Alle origini dello Smoking

Al numero 15 di Savile Row, la strada unanimemente considerata come il luogo dove il bespoke maschile trova la sua sublimazione, è possibile ammirare l’elegante vetrina della Henry Poole & Co.

Fondata nel lontano 1806, la celebre sartoria londinese vanta una serie di meriti indiscussi, tanto da assurgere, fin dagli albori, all’ambito ruolo di fornitrice di abiti su misura per la famiglia reale britannica, che si è compiaciuta di ricompensarne la qualità con una quarantina di Royal Warrant, autentico record.

Ebbene, secondo alcune fonti, tra le quali Angus Cundey, presidente di Henry Poole & Co., lo smoking sarebbe nato in questo luogo.

Quale documento utile a suffragare la teoria, il registro degli ordini della casa sartoriale.
Nel 1865 il futuro Edoardo VII ordinò una short smoking jacket, da indossare nella propria residenza di campagna, nella contea di Norfolk, presso la Sandringham House.
Per intenderci in maniera indicativa su cosa il Principe Bertie stesse indugiando nei sui desiderata, ecco la definizione di smoking jacket fornita, nel 1850, dal prestigioso Gentlemen’s Magazine of London: “a kind of short robe de chambre, of velvet, cashmere, plush, merino or printed flannel, lined with bright colours, ornamented with brandenbourgs, olives or large buttons”.

- Burgundy Smoking Jacket del 1944 utilizzata nel film Gaslight -
Proprio in quegli anni, dunque, si rivelò necessario, tra la nobiltà e i gentiluomini britannici, disporre di una giacca da fumo, considerata la sempre più abitudinaria tendenza, specie dopo la Guerra di Crimea e i contatti con certe abitudini turche, a gustare, dopo pranzo, una piacevole fumata combinata con buon alcolico.

Da qui la nascita della “giacca per fumare”, la “smoking jacket” voluta dal figlio della Regina Vittoria.
La ragione dell’alba di questo abito? Fu un fatto di educazione.
Da buoni gentlemen, ci si preoccupò di indossare sopra il vestito da sera, che fino agli anni ottanta dell’800 venne identificato sostanzialmente con il frac, una giacca al fine di evitare di restare impregnati del forte odore di sigaro, che tanto disappunto suscitava tra molte donne all’epoca.

Giorgio Mendicini, nel suo capolavoro “L’eleganza maschile”, definisce genericamente lo smoking come “una giacca conviviale per la sera – nera, senza code e con revers a punta di lancia”, mentre una delle sue versioni odierne, “con il collo sciallato, fu ripresa da quella che gli inglesi chiamavano smoking jacket (giacca per fumare), una sorta di veste da camera di velluto”.
Riconosciuti i giusti meriti britannici, non possiamo commettere l’imperdonabile errore di ignorare la dominante corrente di pensiero che vuole la nascita dello smoking, inteso come abito e non semplicemente come giacca, in terra statunitense.
Nell’autunno del 1886, Grisword Lorillard, quarto figlio dell’uomo del tabacco Pierre Lorillard IV, indossò lo smoking al Tuxedo Club, ambiente esclusivo aperto quello stesso anno nell’Orange County, New Jersey.

Il che spiega perché questo completo da sera, d’obbligo nelle serate di teatro più eleganti e in occasioni speciali, specie se sull’invito è riportata la locuzione “black tie”, negli Stati Uniti d’America non venga chiamato smoking, ma “tuxedo” (o “tux”) ovvero, specialmente dalle parti di New York City, “dinner coat”.

In effetti lo smoking è chiamato in tal modo solo nei paesi latini, Italia e Francia su tutti.
E il suo nome cambia nella stessa Inghilterra, dove è noto come “dinner jacket”, poiché la “smoking jacket” resta, ancora oggi, la giacca da casa o da camera utile a evitare di mantenere addosso alle vesti l’odore di sigaro; questa “lounge suite”, tanto amata dai dandies appassionati di fumo lento, è chiamata dagli americani “english drape”.
Pertanto, è consigliabile fare attenzione alle parole, mai come in questo caso da usare con opportune proprietà di linguaggio, al fine di evitare fraintendimenti terminologici in una conversazione internazionale.

Battute a parte, con buona pace degli americani a cui dobbiamo l’abito da non volger al pubblico sguardo, per nessuna ragione, prima dell 18, l’attuale foggia della dinner jacket, ops, tuxedo, pardon, smoking, la dobbiamo a un inglese.
- Edoardo VIII -
Il futuro Re Edoardo VIII e Duca di Windsor, infatti, trasformò, negli anni venti del ‘900, la giacca a un petto nella versione attuale, foggia a doppio petto di colore blue notte, che condivide col nero il titolo di colore appropriato per lo smoking.

Detto ciò, sarebbe auspicabile che, come la dinner jacket è ancora oggi usata nelle occasioni speciali, anche la smoking jacket tornasse nel guardaroba di un gentiluomo.
Come scritto da G. Bruce Boyer su Cigar Aficionado nel febbraio del 1999: “like anything that achieves a sublime marriage of form and function, the smoking jacket is back (not that is ever truly left us) as a quite useful part of a gentleman’s wardrobe”.
E poiché, seguendo Giuseppe Scaraffia nel suo prezioso “Dizionario del dandy”, “il sigaro del dandy è la sintesi della sua concezione del mondo e del suo atteggiamento verso di esso”, un fumatore di habano ha l’obbligo morale di dotarsi di una elegante, utile e nobile smoking jacket.

si ringrazia l'autore e Sigari Avani per la pubblicazione.


giovedì 21 maggio 2015

PROMINENTE CLÁSICO

« L’evoluzione di un classico»



In occasione di Baselworld 2015, Cuervo y Sobrinos presenta una nuova versione del suo rinomato “Prominente Clásico”. Questo modello presenta una sottile cassa dallo stile contemporaneo e dal look sobrio, completato da un elegante e raffinato quadrante che racchiude perfettamente l’esclusiva identità del marchio dalle origini Latine.


Le linee pure di Prominente Clásico sono ispirate allo stile Art Déco. Ed è un puro piacere indossarlo grazie alle ridotte dimensioni della cassa (32 x 43 mm) perfettamente in linea con le attuali tendenze di eleganza e sobrietà. La nuova collezione Prominente di orologi è il perfetto esempio di fascino sofisticato.


La serie Prominente accoglie un movimento CyS 5101 su base ETA2892-A2. Si tratta di un movimento automatico con riserva di carica di 42 ore, impermeabile fino a 3 atmosfere. Indica le ore, i minuti, i secondi e la data. L’orologio è realizzato in acciaio inossidabile e il movimento è visibile attraverso il fondello trasparente in vetro zaffiro.

Questo nuovo modello con quadrante color crema e finitura rigata classica trasmette tutto il calore e l’emozione del marchio inequivocabilmente associato alle sue origine cubane. Il vetro zaffiro a doppia bombatura dona all’orologio un affascinante tocco vintage tipico degli anni ‘40.

Il nuovo modello Cuervo y Sobrinos rispecchia ancora una volta l’essenza e la filosofia di questo esclusivo marchio svizzero: il rispetto per le origini e le tradizioni latine combinato alla conoscenza dell’alta orologeria e della tecnologia più moderna.

sabato 16 maggio 2015

I POST DI ILBICCHIEREDIVERSO di Alex Pietrogiacomi

Storie In Prima Persona: 

A Vicenza Con El Puro.

La mia professione ha molti lati stancanti che fortunatamente si intersecano e danzano con quelli più entusiasmanti della vita privata. Per me il buon bere, la buona compagnia e il buon fumo sono prerogativa di lusso. E non si deve necessariamente andare a parare con 5 Stelle, sigari in edizione limitata del 2000 A.C. e bottiglie da migliaia di euro… no, basta poco, un “poco” esatto, bilanciato, appassionato.
A Vicenza sono stato a casa mia, ho passato una splendida serata con splendide persone gustandomi – è il caso di dirlo – ogni attimo. Tutto grazie al circolo EL PURO che ha voluto invitarmi per presentare il mio libro “Semplice, Elegante
Partito da Milano, in una bella giornata, con un Mombacho (di cui parleremo presto) a farmi da accompagnatore, sono arrivato in questa città a me del tutto sconosciuta e sono stato prelevato dal presidente Loris e dal buon vice Paolo, che mi hanno subito introdotto a Vicenza, alla sua anima pacata ma viva. Con un ottimo cocktail, abbiamo parlato di sigari, di Cuba e di come andrà a finire, di sigari italiani e non cubani, di territori di astio tra fazioni e di unione di intenti. Con una cena spettacolare allaTRATTORIA PONTE DELLE BELE (provate assolutamente i piatti tipici vicentini ma anche le specialità Trentine e Tirolesi!)- tra cortesia e familiarità- assolutamente satolli e contenti, abbiamo aperto le porte dell’animo per una serata “tra amici”.
Arrivati nella sede, che mi ha riportato alla mente un rifugio, un vero e proprio non luogo che allontana qualsiasi preoccupazione, incombenza, mi sono soffermato lungo le pareti che raccontavano tutta la storia di questo club nato nel 2002, ascoltando il vociare dei presenti; respirando le luci basse e la “vita” che quelle mura hanno assorbito… oltre che il fumo.
Dopo più di un’ora di chiacchiere, interrotte dai puff del H. Upmann Magnum 46 –formato Coronas Gordas – in abbinamento all’ Havana Club Selecciòn de Maestros, sembrava che nessuno ne avesse abbastanza e che si sarebbe potuto proseguire fino all’indomani… peccato il feriale a rovinare la festa e la possibilità di continuare.
Sono rientrato con grande gioia, per aver avuto la possibilità di conoscere dei veri appassionati e curiosi del mondo del fumo; per aver scoperto una città che voglio tornare a visitare per avere altre belle sorprese; e gioivo per una bella fumata in compagnia. E se non è il vero lusso questo…
Alex Pietrogiacomi
ilbicchierediverso@gmail.com
p.s. Grazie amici de EL PURO! Grazie ancora per l’invito e l’accoglienza.
p.p.s. Perdonate gli scatti… ma i cellulari son quel che sono.
Si ringrazia Alex Pietrogiacomi per la gentile concessione della pubblicazione.

venerdì 8 maggio 2015

Historiador Lady Tropicana

TROPICANA
Una storia di glamour e bellezza

Nel jet-set degli anni ’50, il Tropicana era al culmine della notorietà tra coloro che appartenevano all'alta società di Cuba. Frequentato da personalità quali Marlon Brando, Ernest Hemingway, Rita Hayworth, e J.F.K., per nominarne alcuni. Il Tropicana è stato un mito dello spettacolo Latino che insieme a Folies Bergère accoglieva uno stile e un’atmosfera di charme, comune a due continenti opposti.

La bellezza femminile era esaltata da addobbi e trucchi che riprendevano linee di Art Deco che ne accrescevano la loro attrattiva.
Da qui nasce l’ispirazione per il disegno del quadrante, che inoltre riprende le incisioni finissime di Art Deco che rievocano gli interni della cassaforte della boutique di Cuba.
Il nuovo Lady vuole rilanciare la bellezza complicata con linee curve e slanciate verso l’alto che erano state riprese dai costumi delle stupende donne del Tropicana.

La nuova linea lady "Tropicana" di Cuervo y Sobrinos è sviluppata in cinque differenti versioni di quadrante dove a fare da “Star” é la polvere di diamante utilizzata per enfatizzare il decoro.  Il materiale di base è la madreperla per la versione bianca mentre la ricercata versione nera con polvere di diamanti bianchi o neri è realizzata in uno splendido quadrante “soleil”.
Questi capolavori sono ospitati in una cassa in acciaio delicatamente incastonata di diamanti bianchi o di rubini o zaffiri in sintonia con la polvere di diamante del decoro.

La decorazione del quadrante prosegue fino al cinturino per non lasciare nulla al caso. Il cinturino in pregiata pelle, a lavorazione esclusivamente artigianale, presenta un inserto intagliato finemente che riproduce le linee del decoro del quadrante nelle rispettive colorazioni.

Il Tropicana è senza dubbio un inno alla bellezza femminile e al glamour.

sabato 2 maggio 2015

Casa dell'Eleganza di Alfredo De Giglio

“Eletti sono coloro per i quali le cose belle non hanno altro significato che di pura bellezza”. Oscar Wilde.  (Il Direttore)

Finalmente a Roma c’è un posto dove l’uomo elegante può trovare asilo e ristoro. In verità il luogo sta lì da secoli, ma solo recentemente si è affrancato dall’orda barbara del pressappochismo e della volgarità pseudo-giovanile.
Questo posto ha il fascino misterioso di una ‘brigadoon’. Ricordate il film degli anni ’50 in cui due turisti inglesi si imbattono in un paesino scozzese che, scopriranno poi, appare al mondo visibile una volta ogni secolo? Ebbene, i due turisti rimangono stregati da Brigadoon proprio come chiunque incontri, dopo tanto vagare, la Casina Valadier.





Un luogo ricco di fascino finalmente tornato ai fasti per i quali era stata progettato tre secoli fa ma che prima d’ora, per un destino strano e contorto, non aveva mai pienamente raggiunto.
Tranne che per pochi anni, nel Ventennio fascista, durante il quale la Casina era diventata il ritrovo della nobiltà e degli intellettuali non solo romani (come Pirandello e D’Annunzio), questa costruzione neoclassica progettata dall’architetto romano Giuseppe Valadier ha vissuto duri giorni di oblio.



Per fortuna, dicevamo, da qualche mese è tornata con nuova linfa e volontà di rendere giustizia all’edificio, già uno dei più belli di Roma e soprattutto con una vista sul centro storico irripetibile. La nuova gestione sta lavorando per rendere concreto il sogno iniziale di chi progettò questo gioiello, che già nacque con le stimmate dell’eleganza e dell’esclusività.
La Casina, infatti, fu voluta dal Valadier come il luogo in cui i romani potevano riposarsi da lunghe camminate lasciandosi ammaliare della vista sul cuore antico della città in compagnia di un caffè ristoratore.



L’attenta ricostruzione storica delle vicende che si legano al Pincio e alla Casina ci restituisce una serie di note interessanti e controverse.
Nel 1810 il governo francese, a cui Roma sottostava, decide di realizzare la prima passeggiata pubblica sul Pincio, che sino ad allora era stato proprietà privata di famiglie nobili o della Chiesa. Nel 1600 è degli Agostiniani, che qui hanno una tenuta agricola. Per questo vi fanno costruire un ‘casone’ ove conservare e lavorare i prodotti, eretto sull’antica cisterna romana (‘la gran botte’) in cui secoli addietro, narrano le leggende, vi venivano fatti precipitare e annegare i corpi dei cristiani.
Valadier è incaricato di dare una coerenza architettonica al Pincio ma anche alla scalinata e a Piazza del Popolo. L’architetto, di origine francese, è figlio del primo grande orafo/argentiere romano, famoso per i fastosi centrotavola. E infatti, guardando dall’alto Piazza del Popolo, non vi sembra proprio un centrotavola?
Nel 1815 il progetto di Valadier diventa operativo, e per contenere le spese si decide di partire dal ‘casone’ già presente. L’obiettivo è la costruzione di un caffeaus, di una casina del caffè per il pubblico utilizzo. Bisogna specificare che i francesi volevano far diventare Piazza del Popolo come l’ingresso ufficiale a Roma Nord creando dei luoghi di ricreazione e salute per le genti romane. Dopo la demanializzazione del Pincio iniziano i lavori.
Da allora la Casina non ha avuto pace, sopravvivendo tra periodi di splendore e altri di buio totale. I lavori si susseguono a più riprese così come i tentativi di un suo sfruttamento commerciale.
Nel 1872 si tenta di adibirla a ‘uso di Birreria e Buffet’, poi a Café e ancora a ristorante di lusso, grazie alla costruzione di terrazze sui quattro lati. Ospitò persino esposizioni d’arte.
Nel 2004, dopo un lunghissimo ed accurato restauro, la Casina riacquista gran parte del suo fascino, nascosto per troppi anni. Ma solo ora le sue potenzialità sono in piena espressione.




Il direttore Roberto Mattera (a destra nella foto sotto, accanto al direttore di Stilemaschile) ci ha parlato della volontà di crescita e di miglioramento non sul piano quantitativo ma esclusivamente qualitativo. Un posto così esclusivo deve essere teatro di eventi all’altezza che sfuggano alla normale routine serale della vita capitolina.



Nelle ultime settimane alla Casina Valadier si sono alternate presentazioni, incontri fumosi, cene ed appuntamenti che hanno gratificato l’uomo di gusto, in cerca di un luogo selezionato, in cui tutto, dall’accoglienza (educata e formale) alla cucina (tradizionale e attuale) abbia una sua coerenza.
E noi di Stilemaschile ne abbiamo fatto una base per i nostri Incontri, come avrete modo di leggere presto, conquistati anche dalla possibilità di avere a disposizione un grande fumoir, che sta per essere sottoposto ad un vigoroso quanto difficile restyling che lo renderà ancor più in sintonia con il fascino dell’intera location.

Si ringrazia Stilemaschile per la pubblicazione dell'articolo.